Chi è contemporaneamente bipede, tripede e quadrupede? Chiedeva la Sfinge all’ingresso di Tebe. La sua domanda resta aperta.
Se le rispondessimo “una sedia” o “un tavolo” certamente la bestia provvederebbe a strangolarci in men che non si dica. Potremmo allora azzardare di attribuire le tre qualità proprio a lei, alla Sfinge, sottolineando una sua certa versatilità riguardo l’uso degli arti: versatilità che d’altronde la accomuna ad alcune creature animali e vegetali, oltre che divine. Questo tipo di associazioni rischierebbe però di accendere le ire della stessa con effetti letali.
Eviteremo allora di chiamare in causa altre specie. La soluzione di Edipo sarà quella più ovvia e comoda: l’unica soluzione possibile, la sola contemplata dall’enigma. Un enigma umano per gli umani a cui altra risposta non c’è se non l’umanità.
Il vero mistero sta forse proprio qui. Come possiamo guardare il mondo da una prospettiva non umana? Come lo possiamo comprendere al di fuori della nostra condizione e posizione?
Le parole, queste parole, ci suggeriscono che restiamo perennemente intrappolati nell’antropocene. Che continuiamo ad applicare categorie umane a tutto ciò che ci circonda, persino e anche più quando cerchiamo di ascoltare la voce delle piante e i pensieri degli animali, o quando ci affezioniamo a una collana, a una croce, a un dipinto. Mossi da affezione, esotismo, curiosità, mistica, possesso, territorialità, o noncuranza, non facciamo che agire dentro i confini del nostro linguaggio, del nostro umano dominio.
“A Fool with a Tool”, la mostra personale di Gaia Fugazza a Milano per Case Chiuse HQ, si sottrae all’indovinello della Sfinge e affonda in un altro livello di linguaggio, quello del corpo. Un corpo che si materializza attraverso la pittura, trovando tra le linee e i pigmenti immagini a cui dare corpo, ancora.
Mai testo critico fu più inutile!
Il tentativo sarà di ritrovare alcune delle immagini in mostra attraverso le parole, più per esigenza di racconto che di spiegazione. Non c’è un ordine logico, né cronologico: le opere appartengono a epoche diverse nella produzione dell’artista dal 2010 a oggi, attraversando tecniche e supporti differenti: dal dipinto, al disegno, all’incisione; dalla carta, al legno, all’alluminio.
Iniziamo da una riunione o da una terapia di gruppo. Cinque soggetti, quattro donne ed un uomo sono riuniti, nudi, attorno a un vuoto: The Necklace, 2019. Gli otto seni delle donne in circolo prorompono nella composizione per duplicarsi e deformarsi in una sorta di aureola che circonda il volto dell’uomo. L’artista porta a galla il piano simbolico del discorso in atto e visualizza allo stesso tempo nella seduta, nello stare seduti, la costrizione di una postura che letteralmente piega lo spazio fisico e mentale. La disposizione dei corpi e le immagini inconsce che la seduta produce si riconnettono in un unico indivisibile stato psicosomatico, un’alterazione percettiva che sembra coincidere con la natura stessa della percezione.
In un altro cerchio due animali carnivori annusano un piccolo ruminante accovacciato, mentre due uccellini sostano, in attesa, ai bordi della scena. Con tutta probabilità si sta per consumare una carneficina di primo grado -quella dei lupi sull’agnellino- e una di secondo grado -quella degli uccelli che sopraggiungeranno a cose fatte- in un circolo da cui l’essere umano resta escluso.
Quello di Quattro animali (2010) non è un racconto di caccia, né una tauromachia, ma la contemplazione di relazioni ed equilibri impenetrabili. Siamo di fronte a un altro enigma della mostra: l’enigma insuperabile dell’umano dinnanzi a nature e culture che lo hanno preceduto e che, con tutta probabilità, si perpetueranno in sua assenza.
In un pannello dipinto e inciso per l’occasione, Gaia Fugazza disegna allora Un’altra stagione (2021): un uomo dai piedi prensili, che con questi si tiene appeso a testa in giù al ramo di un albero mentre grosse zanzare lo pungono. Il corpo inciso di questa figura, immerso in un fondo aureo, viene attraversato da dense nubi nere che ne nascondono il volto come una sorta di chioma oscura. Questo appeso, non è certo l’impiccato degli arcani maggiori: è più un corpo arcaico del tutto avveniristico che pratica nuove funzioni e posizioni vitali, ricombinando la sua natura di bipede e quadrupede.
Un gesto molto attuale è invece quello rappresentato in Lots of Choice (2015), un dipinto multitouch dove l’indice di due mani, quelle di un adulto e di un bambino, si lasciano guidare da una serie di finestre aperte in simultanea. Le dita sembrano protese a pigiarle tutte alla ricerca di un sempre- meglio, oppure sono impegnate a esercitare il parental control con fermo diniego, o forse sono solo paralizzate nell’imbarazzo della scelta.
Il senso di sollecitazione e dispersione della volontà si trasmette ai visitatori, i quali si trovano a spingere due porte da saloon che separano gli ambienti della galleria attivando un continuo vai e vieni, apri e chiudi. Le porte sono allo stesso tempo oggetti d’uso e opere pittoriche. Sono tavole lignee dipinte di un azzurro tenue sulle quali sono incise una serie di frecce rivolte in diverse direzioni. Come dardi di una caccia selvaggia, segnali di strade divergenti, cursori di schermi sovrappopolati, le frecce sono i vettori di un essere ciclicamente scisso tra volontà e intelletto: A Fool With A Tool, come suggerisce il titolo della mostra. Occorrerà scendere nei sotterranei della galleria o cercare su Google per completare la frase e visualizzare quest’altro enigma. L’enigma dello specchio: Selfportrait in Computer Light (2015).