Gillian Brett “Umarell” C+N Canepaneri / Milano di

di 14 Aprile 2022

La mostra di Gillian Brett da C+N Canepaneri si intitola “Umarell”, un termine del dialetto bolognese che suona desueto e inadeguato alla comunicazione globale – ancor di più all’arte contemporanea. Ma Brett vuole prendere le distanze dai trend di settore, come già ai tempi dei suoi studi al Goldsmith College di Londra, dove il discorso ecologico – centrale nel suo lavoro – era molto diffuso in teoria, ma non in pratica. L’umarell di Brett è l’anziano che, con spirito anti-industriale e anti-tecnologico, guarda con stupore i cantieri, prodigo di consigli non richiesti e domande inopportune che rallentano la corsa al progresso. Un ricordo di infanzia della provincia italiana, una specie in via di estinzione assurto dall’artista a ingenuo ribelle, profeta di una realtà semplice, desiderabile con il senno di poi.

Più che un cantiere, però, la mostra di Brett è una discarica tecnologica a metà tra un laboratorio e un giardino dell’Eden rovesciato, con fiori, piante, un lago, cieli stellati, piaceri e delizie per gli Adamo ed Eva del presente. Come molte opere distopiche degli anni Duemila – pensiamo alla serie televisiva Black Mirror di Charlie Brooker – qui il genere sci-fi poggia su un’attualità pervasiva e sintomatica. Dunque l’intervento artistico consiste nella sintesi estetica di un processo in atto, che scivola sotto la soglia di attenzione di un pubblico abbagliato dall’accelerazione tecnologica e dalla falsa ideologia ecologica che investe la quotidianità con packaging e pubblicità.

Brett squarcia “il velo di Maya” con Phusis, Hubris, Debris #Baotou (2019), un ripugnante acquitrino motorizzato. L’opera è composta da una superficie di schermi a cristalli liquidi e rivestita da una cornice scura di plastiche di computer che, sottoposte a un processo di fusione, evocano macchie di petrolio, materia prima della plastica. La forma, invece, si ispira al lago di Baotou, una pozza artificiale prodotta dalle immondizie delle raffinerie cinesi che estraggono i minerali per i microchip di computer e smartphone. Al lato opposto, Hétérosis (2022) presenta due scaffali porta-piante come usciti da un vivaio con specie botaniche immaginarie ricavate da frammenti di schede magnetiche, resina, rame e silicone. Tutti materiali sintetici e inquinanti con cui l’artista riproduce la sua versione disfunzionale della foglia bionica, un’invenzione tecnologica del 2016 tesa a rendere più efficienti i processi di fotosintesi.

Nella stessa stanza, altri esemplari botanici sembrano galleggiare nell’etere, le radici sospese nel vuoto. I titoli delle opere, Roundup Ready e Terminator (entrambe 2022), si rifanno a pesticidi ed erbicidi in commercio il cui uso è stato esteso alla produzione di piante geneticamente modificate di cui ci alimentiamo abitualmente, come la soia, nonostante a oggi non vi siano studi sui livelli di contaminazione di questi cibi e la loro nocività per l’organismo. Nel corridoio della galleria, Brett allarga la questione con Smart food: better for you and the planet #Délice 1.0 (2021),una serie di “salsicce elettroniche” appese a un lightbox simile a uno schermo radiografico. Il titolo allude alla pubblicità di Soylent, marchio americano di smart food che produce prodotti sostitutivi dei pasti, e ironicamente rievoca l’omonimo film distopico degli anni Settanta, Soylent Green, in cui la carestia da sovrappopolazione è scongiurata dall’uso di cibi proteici i cui ingredienti principali sono resti umani.

Da un’industria del cibo collusa con quella società del benessere che si proclama vegetariana ed ecologica – ma strizza l’occhio a prodotti spazzatura di laboratorio sostituitivi della carne – Brett sposta lo sguardo alle stelle e ai pianeti che dominano l’immaginario espansionistico dei tycoon della tecnologia nella Silicon Valley. Nel titolo della serie (After Hubble) (2022), quello che sembra un plausibile riferimento alla nomenclatura delle galassie è in realtà il modello dello schermo che l’artista ha sacrificato in nome dell’arte. Tra parentesi, invece, c’è il famoso telescopio spaziale della NASA – le cui immagini del cielo hanno ispirato la forza distruttiva di Brett. I suoi schermi sono i pannelli di controllo che regolano la vita contemporanea; sempre accesi, sono responsabili della scomparsa del buio. Con un gesto poetico e al contempo distruttivo Brett li mette a tacere, e fa tornare le stelle.

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Sara Dolfi Agostini