“Acts of pulse” è la prima mostra personale della scultrice spagnola June Crespo negli spazi di P420 a Bologna dopo “Foreign Bodies” nel 2018 con John Coplans a cura di João Laia. La parola inglese pulse è un vocabolo potente che già nel suono evoca le singolari sfumature in cui si articola, ognuna con una diversa accezione poetica: esso indica un impulso del corpo (un battito cardiaco, il polso del cuore), un ritmo (come quello musicale) e anche una forza, intesa nel suo significato di energia vitale.
“Acts of pulse” traduce artisticamente questa risorsa sorprendente della parola di racchiudere più movimenti del pensiero in un unico segno scritto, qualità insita anche nel linguaggio scultoreo: la forma di un’opera esprime la natura proteiforme della materia che continuamente si trasforma e rimodella la realtà poiché contiene al suo interno altre possibili espressioni del mondo (il cosmo è in-habited, già abitato dentro), come una particella elementare che si combina indefinitamente a seconda delle forze che agiscono e delle interazioni innescate” spiega Marinella Paderni nel testo introduttivo alla mostra.
June Crespo espone una serie di nuovi lavori realizzati appositamente per l’occasione, con i quali si cimenta nella sperimentazione di nuove associazioni di materiali, come fusioni in bronzo in dialogo con elementi tessili, resine, acciaio e cemento. La vicinanza di materiali così diversi, alcuni tradizionali e altri appartenenti alla contemporaneità e al quotidiano, crea una particolare forma di straniamento: lo stupore di questo incontro si fonde con la naturalezza con cui questi elementi si legano in una nuova struttura organica. Il lavoro di Crespo prende forma nel suo farsi, è il luogo dove qualcosa “accade”. Questa metodologia istintiva appiattisce qualsiasi relazione gerarchica tra gli elementi, che sono contemporaneamente basamento, cornice, supporto, scultura.
Come osserva sempre Marinella Paderni, l’artista spagnola indaga le possibilità espressive nascoste delle cose, le trasformazioni dei materiali che trovano nuove soluzioni formali e concettuali grazie ai processi nuovi e arcani della scultura, contribuendo felicemente al discorso sul divenire del linguaggio scultoreo contemporaneo in un’epoca che vede la fisicità del mondo rispondere al distanziamento di questi tempi.
Il lavoro dell’artista esplora la tensione del mondo a rimanere misterioso, a voler essere non finito o ascrivibile in un’unica, semplice sembianza. Coglie la vitalità della materia che si rivela a noi mediante la sua continua trasmutazione da una forma all’altra, da un sistema a un altro, in un processo autopoietico. L’autopoiesi – termine coniato solo quarant’anni fa dai biologi e filosofi cileni Humberto Maturana e Francisco Varela – consiste in un insieme di relazioni tra processi di produzione, un atto di creazione che si sostiene e si produce dal proprio interno ridefinendo continuamente se stesso. È un impulso al superamento delle definizioni e delle forme finite, una sfida della vita alle azioni normative o dissipatrici, sia umane che naturali. Si tratta del principio di non contraddizione in una catena di “ma anche” che accoglie tutti gli stadi e i loro significati: la forma di un petalo è anche la linea della lingua che spinge contro il palato curvandosi, esattamente come la curva di una sella da equitazione disegna uno spazio inedito e anche un vuoto. La realtà fisica del mondo si dispiega in figure correlate tra loro, un disegno superiore in potenza, mai definitivo, che mostra sia l’infinitudine che la finitudine delle cose.
Le sculture dell’artista liberano i confini dei corpi e degli oggetti da termini fissi, configurazioni stabili o chiuse, per emancipare la vita delle cose dai limiti di una cultura troppo innaturale e materialista, dischiudendo nella trasmutazione continua delle forme l’esistenza silenziosa ma vitale di altre possibilità. Un nuovo sviluppo del concetto di informe quale modalità di manifestazione della materia non solo inconscia: il mondo è un campo di forze che commutano, convergono, si bilanciano in un’apparente e nutriente opposizione. Dal solido al molle, dal rigido al morbido, dal biologico all’inorganico, nei materiali e nelle lavorazioni adottate da June Crespo affiorano queste diverse proprietà combinatorie, evocate anche nei titoli delle opere: elementi leggeri e duttili come il tessuto scolpiscono sofficemente l’ossatura dell’opera, a volte celandosi al suo interno, mentre sostanze solide e resistenti quali il cemento, il ferro, il bronzo e la resina ci trasmettono il nostro bisogno di radicamento alla terra.
Una sensualità inorganica, trattenuta nella materia delle cose e nelle sue infinite immagini, anima l’installazione espositiva della seconda sala, dove June Crespo presenta una nuovissima produzione di opere che dà il titolo anche alla mostra. Nelle potenti sculture a parete di “Acts of pulse” la forma di una sella da cavallo rappresenta la matrice di uno sviluppo speculare nello spazio che lascia emergere ogni volta una diversa possibilità di essere. Questo elemento simbolico in potenza – una sella che ricorda una lingua e anche un petalo – poetizza l’impulso della materia ad auto-prodursi in immagini dissimili ma collegate tra loro che rinviano alle forme frattali del nostro universo, come il disegno delle galassie.
L’allestimento della mostra esprime spazialmente questa ricca articolazione e i tanti livelli di senso del suo lavoro coinvolgendoci in un’esperienza di scoperta. Nelle due sale l’artista ha ideato una dialettica di sguardi tra i differenti gruppi di opere e un percorso visivo di richiami, suggestioni e ipotetiche relazioni.