Diego Marcon si è guadagnato un ampio riconoscimento per una pratica concettualmente rigorosa che si concentra sull’immagine in movimento, e che comprende film, installazioni video, e sculture. Le sue opere riflettono un’indagine sfumata degli archetipi cinematografici, combinando approcci teorici e strutturali, e il loro ricco potenziale narrativo per esprimere profondi stati psicologici ed emotivi.
Realizzato in pellicola 35 mm e animazione CGI, Monelle esplora la manifestazione del potere e dell’oppressione e la capacità di un luogo di portare l’impronta di violenze passate. Il film è incentrato su un gruppo di giovani ragazze che giacciono addormentate tra gli spazi monolitici della Casa del Fascio di Como, in Italia, un edificio progettato dal famoso architetto modernista italiano Giuseppe Terragni, come sede del partito fascista regionale sotto Mussolini. Rese visibili solo momentaneamente in raffiche di flash, le ragazze e i loro dintorni sono osservati per il tempo sufficiente a far registrare lo sguardo dello spettatore, prima di disperdersi bruscamente in prolungate sequenze di buio.
Man mano che il film procede, la macchina da presa attraversa costantemente la Casa del Fascio, rivelandone gli spazi architettonici e le figure in improvvise e brevi esposizioni; a queste si sostituisce in modo contrario l’impressione retinica negativa dell’assenza che segue. Queste vignette rivelano in modo diverso giovani ragazze, parzialmente oscurate o ingobbite in gesti di tenerezza e vulnerabilità infantile, figure trascinate via dalla vista, cadute o vuote. A condividere gli spazi bui con i bambini c’è un secondo cast di minacciose figure generate in CGI, la cui presenza minacciosa fa eco all’oscurità psicologica e fisica. In dialogo con l’insistente ripetizione della struttura austera dell’edificio, le vulnerabilità e la presenza liminare delle figure evocano un’atmosfera inquietante di terrore e ambiguità simultanei.
Riflettendo l’approccio laterale di Marcon al cinema, Monelle impiega sia lo stile freddo e sistematico del film strutturale – che segue una modalità di ripresa sequenziale guidata da un processo – sia le caratteristiche toccanti dell’horror. Attraverso la stratificazione di questi elementi, la struttura del film amplifica in modo auto riflessivo i registri emotivi dissonanti del formalismo spassionato e della vulnerabilità, della paura e dell’aggressività umana. A questo proposito Marcon ha dichiarato: “L’impatto emotivo è, credo, scatenato dalla struttura fredda e rigorosa del film”.
Come in altre parti della sua opera, il film è concepito con una struttura a loop, priva di un inizio o di una conclusione. Eludendo il tempo lineare, lo scenario diventa interminabile, la tensione cresce senza risolversi, tanto che il film rifugge dalla narrazione e confina lo spazio in un’acuta tensione psicologica e ambiguità. A Davies Street, il film è installato in una stanza completamente oscurata, il cui paesaggio sonoro di silenzio pervasivo si fonde con l’ambiente della galleria, infiltrandosi nello spazio e avvolgendo lo spettatore negli spazi della Casa del Fascio. È in queste bizzarrie che Marcon esamina l’ontologia dell’immagine in movimento e la sua capacità di mettere alla prova il rapporto con la rappresentazione e la realtà, oltre a mettere in discussione la natura della testimonianza di storie di potere e repressione che persistono nel quotidiano.