Noto soprattutto per la sua piramide telematica installata in occasione del XLV Congresso del PSI a Milano, nel 1989, Filippo Panseca è un artista poliedrico e multidisciplinare che, nel corso della sua carriera, ha sperimentato con differenti media: dalla pittura al design, dalla scenografia alla grafica, dalla fotografia alla scultura. Vicino a importanti figure nel mondo dell’arte – come Pierre Restany, Guido Ballo, Gillo Dorfles e Giancarlo Politi – ha esposto in gallerie quali il Cavallino, Apollinaire, l’Obelisco e Lucio Amelio ed è stato uno dei primi artisti italiani a lavorare con la tecnologia e a interessarsi all’ecologia applicata ai linguaggi delle arti visive.
A Milano, negli spazi dell’ADI Design Museum, il suo lavoro di artista e designer – dagli anni Sessanta agli anni Ottanta – è presentato in una mostra curata da Achille Bonito Oliva e Valentino Catricalà, intitolata “Forme a Futura Memoria”. L’obiettivo del progetto è quello di rileggere e presentare una raccolta di opere quasi “dimenticate”, facendo emergere il ritratto di una figura che ha anticipato gran parte dei dibattiti contemporanei.
All’interno della mostra si trovano diversi progetti di arte biodegradabile: opere fotografiche che mostrano alcune delle piazze più importanti del mondo con al centro una sfera biodegradabile che agisce sull’ambiente circostante, in alcuni casi prendendo addirittura il posto dei monumenti presenti. L’idea di un’arte di questo tipo nasce agli inizi degli anni Settanta in seguito alla lettura di un articolo pubblicato sulla rivista Scientific American riguardo l’invenzione di un piatto biodegradabile da parte di alcuni scienziati nel Boise in Idaho. Panseca rimane affascinato dalle caratteristiche dell’oggetto e dal suo processo di decomposizione. Le difficoltà riscontrate nella sua riproduzione, tuttavia, lo portano a reinventarne il funzionamento e a realizzarlo più in grande. L’artista progetta quindi enormi sfere biodegradabili non inquinanti da collocare nelle più importanti piazze del mondo, come fossero installazioni monumentali destinate a svanire. Le installazioni, però, sono impossibili da realizzare e, per questo motivo, il progetto è stato sviluppato solo attraverso opere fotografiche.
In stretta relazione alle opere precedenti, in “Forme a Futura Memoria” vengono riproposti i disegni dei progetti legati alla sfera, esposti per la prima volta nel Padiglione Centrale della Biennale di Venezia del 1982 insieme a delle reali sfere biodegradabili, la cui decomposizione veniva registrata quotidianamente da una telecamera.
In mostra, inoltre, si possono osservare i disegni originali dei progetti presentati alle esposizioni della Triennale del 1968, del 1973 e del 1986. In quest’ultima edizione, dal titolo “Il luogo del lavoro”, Panseca presentò il prototipo di un progetto visionario e utopico, che sembra anticipare l’attuale nomadismo digitale: una valigetta dotata di tutti gli strumenti tecnologici necessari per vivere e lavorare in qualsiasi luogo, capace di tracciare con un raggio laser uno spazio “ideale” protetto da qualsiasi alterazione atmosferica.
Pioniere dell’arte digitale in Italia, nella mostra milanese sono presentati per la prima volta i ritratti digitali realizzati a San Francisco nel 1979. Durante un viaggio in America, l’artista scopre una particolare telecamera con la quale realizza diversi video ai passanti e, dai fermo immagine, ne ricava dei ritratti. Il desiderio di Panseca di sperimentare sul mezzo lo spinge a provare a dare colore alle immagini. La videocamera che utilizzava, infatti, filmava in bianco e nero ma, grazie a delle personali intuizioni e una strumentazione modificata ad hoc, riuscì a renderle a colori.
La sua visione pioneristica si coglie anche in un altro lavoro del 1975, Progetto per il trasferimento di una mia opera da Milano a New York, quando Panseca, avendo dovuto pagare una sovrattassa per far passare dalla dogana i suoi disegni, decise di smaterializzare i suoi lavori e ideare un’opera “satellitare”. Insieme a Pierre Restany e a Domus l’artista contatta la ditta Rank Xerox per trasmettere contemporaneamente alcune immagini in cinque paesi e cinque continenti e realizza un’opera che anticipa le prime sperimentazioni artistiche di telecomunicazione, come Seven Thoughts di Douglas Davis del 1976 e Hole in Space di Kit Galloway e Sherrie Rabinowitz del 1980. In mostra è esposta l’opera del 1976, tirata in 330.000 copie, che Panseca realizza per la copertina del primo numero del nascente quotidiano La Repubblica. A quel tempo, era stato possibile acquistare il giornale al prezzo di 150 Lire oppure una copia firmata e numerata dall’artista per 200.000 Lire.
La mostra non traccia un percorso prestabilito ma lascia libertà di azione e movimento allo spettatore. La sua partecipazione è richiesta dal lavoro SWART O MAT del 1990, un distributore automatico di opere d’arte che stampa un’opera scelta con la firma digitale dell’artista, a seguito dell’inserimento di una moneta fittizia. La realizzazione di un progetto così ambizioso per quei tempi, soprattutto dal punto di vista economico, è stata possibile grazie ai lavori come scenografo per i Congressi del PSI, verso la fine degli anni Settanta. In questo periodo, l’artista ha infatti avuto l’occasione di lavorare con budget molto elevati e realizzare anche progetti monumentali, tra cui la famosa piramide telematica alta 8 metri allestita durante il Congresso dell’Ansaldo a Milano nel 1989, non solo scenografia iconica ma anche mezzo di comunicazione.
Artista “nomade” che nella sua vita ha sperimentato e abitato numerosi media, senza mai abbracciare completamente un unico campo specifico, Panseca non è riconducibile a un particolare movimento artistico e la sua scelta di realizzare opere e lavorare per un partito politico ha fatto sì che venisse dimenticato da molti. “Forme a Futura Memoria” vuole ridargli spazio e mostrarlo come uno dei più importanti artisti-innovatori italiani.