Per un’estetica della trasgressione. Una conversazione con Gloria Anzaldúa e altre scritture radicali di

di 26 Febbraio 2024

“Tell me stories!” è una rubrica sulla scrittura, a cura di Manuela Pacella. Uno spazio in cui testi di e su diversi autori indagano la scrittura d’arte, sperimentale, interdisciplinare, creativa e non.

Gloria Anzaldúa, Borderlands/La frontera: The new Mestiza. Copia piratata realizzata in seguito alla lettura collettiva online del 20 marzo 2020 con Costantin Jopeck, Angeliki Tzortzakaki, Enar de Dios Rodríguez, Carin Klonowski, Melis Tezkan, Valentina Cipullo Callegarini, Jagoda Mazur, Natalia Zonova, enrico floriddia, Emily Fitzell, Hamid Waheed e Diana Duta.

Il mio primo incontro con Gloria Anzaldúa è avvenuto durante una sessione di arpentage, una pratica di lettura collettiva.1 In quell’occasione, man mano che ognuno di noi si avvicendava nella restituzione di Borderlands/La Frontera, l’aspettativa di una narrazione lineare e coerente si è infranta. Il dialogo nato da quell’infrangimento ha prodotto questo testo. Le scelte dei luoghi potranno sembrare arbitrarie, invece adottano una metodologia rigorosa: situarlo in una geografia personale e affettiva di chi scrive, a cominciare dal parrucchiere dove ho trascorso giornate interminabili negli anni ’90 mentre mia nonna si faceva i capelli. I parrucchieri sono luoghi bellissimi dove si fanno moltissime chiacchiere, e si legge moltissimo. Recentemente mi sono chiesta cosa accadrebbe se nelle riviste di moda e gossip che ne affollano i tavolinetti comparissero le rubriche sul femminismo radicale.
Detto ciò, non so se questa possa definirsi una conversazione in tre atti, un testo critico in presenza o una serie d’appunti. Ma le definizioni, Manuela, non sono forse un tentativo goffo o lo strumento brutale dell’oppressore?

Atto I
Da Franco, parrucchiere, Via Tomacelli, I° piano, Roma

V: Penso proprio che scriverò un pezzo su di te, Gloria. C’è questa rubrica, Tell me stories!, in pratica parlano di te, anzi da te anzi da te. Ma forse bisogna dirlo ad alta voce… quel problema dell’invisibilità. Di che colore pensi di fare i colpi di sole?

G: I say mujer magica, empty yourself. Shock yourself into new ways of perceiving the world, shock your readers into the same. Stop the chatter inside their heads.2

V: Forse dovremmo introdurre Borderlands/La Frontera: The New Mestiza (1987) che alla fine è il tuo testo più noto, il solo tradotto in italiano, anzi, è da poco disponibile una nuova traduzione per le edizioni Black Coffee3 anche se, pensavo, mi piacerebbe cominciare da Speaking In Tongues. Cosa ne pensi?

G: It is not easy writing this letter. It began as a poem, a long poem. I tried to turn it into an essay but the result was wooden, cold. I have not yet unlearned the esoteric bullshit and pseudo-intellectualizing that school brainwashed into my writing.4

V: Vedo che siamo d’accordo. Per dare qualche appiglio a chi legge, potremmo dire che fa parte di This Bridge Called My Back. Writings by radical women of color (1981), un’antologia che hai curato con Cherríe Moraga fatta di una selezione di testi che vanno dalle annotazioni estemporanee del diario intimo a scritti teorici ben formulati, lettere private indirizzate agli amici, altre rivolte a un pubblico più ampio, e ancora: poesie, trascrizioni, conversazioni private e interviste che riflettono un caleidoscopio di prospettive, lingue e voci. Chi ha contribuito sono perlopiù scrittrici di prima generazione, alcune neanche si definiscono vere e proprie scrittrici ma, ciò nonostante, “calcano la penna sulla pagina o parlano col potere dei poeti”.5

G: We see the book as a revolutionary tool falling into the hands of people of all colors. Just as we have been radicalized in the process of compiling this book, we hope it will radicalize others into action.6

V: Hai fatto bene a puntualizzare. Ecco, visto che ne parli nell’introduzione, aggiungerei due righe sulle condizioni materiali in cui l’antologia è stata realizzata. Scrivi che Jo Carrillo ha battuto a macchina “quel po’ po’ di manoscritto” e che i soldi per lavorarci sono usciti da due salvadanai: il tuo, a forma di pollo, e il secchio di birra Tecate di Cherríe Moraga. Per caso hai una foto del pollo? Questi particolari mi interessano.

G: We are Third World women writers, so similar yet so different, similar in the issues we confront, different in approach and style. What we have in common is our love of writing and a love of the literature of women of color.7

V: Ti trovi nel posto giusto, non parlo di Franco ma di Tell me stories! In questa rubrica si parla di scrittura con la scrittura, un luogo d’incontro per una comunità di persone che credono che leggere e scrivere siano pratiche di trasformazione, libertà, resistenza… ma basta parlare in astratto: hai letto gli altri contributi?

G: Who gave us permission to perform the act of writing? They convince us that we must put frames and metaframes around the writing. Achieve distance in order to win the coveted title “literary waiter” or “professional writer.” Above all do not be simple, direct, nor immediate. Why do they fight us?8

V: Ma secondo te è una lotta esterna, o anche interna? Perché questa rubrica, vedi, è proprio l’invito a oltrepassare le convenzioni imposte, o forse autoimposte, a chi normalmente scrive e lo fa con un intento fondamentalmente critico, teorico, speculativo. È una questione di abitudine, necessità, credibilità… o forse tutte queste cose messe insieme.9 Ma tolta questa rubrica, lo spazio fisico per esercitarsi, per condividere questi tentativi, è praticamente assente. In quale palestra allenarsi?

G: Forget the room of one’s own –– write in the kitchen, lock yourself up in the bathroom. Write on the bus or the welfare line, on the job or during meals, between sleeping or waking. I write while sitting on the john.10

V: Aspetta, io però parlavo di spazi di condivisione. Perché magari là fuori c’è chi, in questo momento, proprio come te, sta scrivendo nudo sulla tazza del cesso ma, poi, quello che ha scritto pensa sia un mucchio di merda oppure non sa cosa farsene. Hai presente quel saggio di Joanna Russ in cui dice “Without models, it’s hard to work; without a context, difficult to evaluate; without peers, nearly impossible to speak.”?11 Se ci pensi Tell me stories! fa proprio questo, offre modelli che in Italia circolano poco o niente, fornisce una piattaforma per parlarne trasgredendo le norme, crea una comunità di persone che dialogano, intessono relazioni, sviluppano collaborazioni… Senza contare che lo fa in una lingua tutto sommato marginale. Vuole forse suggerisci che l’italiano può diventare uno spazio di ricerca e sperimentazione anche per chi scrive nonfiction? Riesci a seguirmi o devo tradurre?

G: Dear mujeres de color, companions in writing – I sit here naked in the sun, typewriter against my knee trying to visualize you. You are not alone.12

V: Quale modello di macchina da scrivere? Valerie Solanas usava una Remington.13 Carla Lonzi non ne sono sicura, ma per il compleanno del 1975 riceve una portatile elettrica per battere a macchina il suo diario.14 Magari possiamo chiederlo direttamente a lei, abita a pochi isolati da qui. Maps mi dice sette minuti. Le chiedo se ci raggiunge per un caffè?

Cherríe Moraga e Gloria Anzaldúa, cur., This Bridge Called My Back: Writings By Radical Women of Color, Kitchen Table: Women of Color Press, New York, 1983. Gloria Anzaldúa, cur., Making Face, Making Soul, aunt lute books, San Francisco, 1990.

Atto II
Al Caffè Perù, Via di Monserrato, Roma

G: I feel heavy and tired and there is a buzz in my head –– too many beers last night. But I must finish this letter. My bribe: to take myself out to pizza.15

V: Vedrai che il caffè aiuta. Ai Marmi andiamo più tardi.

G: So I cut and paste and line the floor with my bits of paper. My life strewn on the floor in bits and pieces…16

V: Comunque, forse già lo sai, ma anche Carla ha fatto un sacco di taglia e incolla, per Autoritratto (1969) ma anche Taci, anzi parla. Diario di una femminista (1978). Anzi, volevo parlartene prima che arriva: le somiglianze di quest’ultimo con Borderlands/La Frontera sono impressionanti… parlo in termini di quella che tu chiami “scrittura organica”: “non è sulla carta che si crea, ma nelle viscere, nell’intestino e dal tessuto vivente”.17 Una traduzione fisiologica di quel processo di soggettivazione fermentato nel percorso di autocoscienza e assorbito dalle pagine del suo diario… parlo anche di come avete costruito i due libri: un montaggio di scritture eterogenee che nel tuo caso combinano racconti storici e autobiografici, poesie e detti popolari, preghiere… una mescolanza che si riverbera nel plurilinguismo che adotti, dall’inglese al castigliano, dal Tex-Mex al nahuatl. Qualcuno lo ha descritto “metodologia della mestiza”…18

G: … and I try to make some order out of it working against time, psyching myself up with decaffeinated coffee, trying to fill in the gaps.19

V: Che poi, correggimi se sbaglio, in questa strategia non c’è solo il tentativo di ricreare i suoni di una geografia personale ma anche la volontà di smettere di tradurre per chi non fa lo sforzo di comprendere… un’altra lingua, un’altra esperienza… un invito a incontrarsi a metà strada, cercarsi nella terra di confine… anche io sento la stanchezza di questa traduzione continua… prendiamo un altro caffè?

Gloria Anzaldúa (testo),
Consuelo Méndez (illustrazioni), Friends from the Other Side / Amigos del Otro Lado, Children’s book press: San Francisco,
1993. Gloria Anzaldúa (testo), Maya Christina Gonzalez (illustrazioni),
Prietita and The Ghost Woman/ Prietita y La Lorna, Children’s book press, 1995.

Atto III
Ai Marmi, pizzeria, Viale Trastevere, Roma

V: Mi spiace che Carla ci abbia dato buca, non riesco a capire cosa sia successo. Forse avrei dovuto scriverle che non è più al Perù che si ritrovano gli artisti, avrei dovuto scriverle che stavamo scrivendo…

G: The danger in writing is not fusing our personal experience and world view with the social reality we live in.20

V: Per cominciare direi due supplì… o supplì e fiori di zucca? Non so a Santa Cruz, ma a Brighton non li trovi.

G: The danger is in being too universal and humanitarian…21 How to approximate the intimacy and immediacy I want. What form? A letter, of course.22

V: Hai fatto bene a tornare sulla questione della forma… Deve esserci un motivo per cui le scritture critiche radicali, quelle che abitano il margine, scelgono di esprimersi attraverso lettere, poesie, memoir, trascrizioni; privilegiano il parlato, l’uso della prima persona; parlano con immediatezza, prossimità… Prendi i tuoi scritti, ma anche quelli degli altri autori presenti in questa rubrica. In Elogio del margine (1990), bell hooks sostiene che “Importante non è soltanto ciò di cui parliamo, ma anche come e perché decidiamo di parlarne.”23 Due domande troppo spesso aggirate da parte di chi legge e chi scrive. Nei tuoi contributi, invece, è impossibile ignorarle. E non mi sorprende che dedichi loro una sezione in Making Face, Making Soul/Haciendo caras. Creative and Critical Perspectives by Feminists of Color (1990), l’antologia che concettualmente prosegue il lavoro di This Bridge Called My Back. Un libro pensato per frammenti, la cui costruzione, scrivi, si fonda sul metodo dell’associazione poetica.24

G: These pieces are not only about survival strategies, they are survival strategies.25

V: Il tuo contributo, però, è amaro rispetto a quello dell’antologia precedente. Scrivi che a distanza di dieci anni dal primo libro, l’oppressione e la soppressione non sono più esercitate su ma tra sorelle di colore. È per questo motivo che poi hai deciso d’intraprendere una nuova forma di collaborazione quando hai pubblicato i tre albi illustrati, Prietita Has a Friend (1991), Amigos del Otro Lado (1993) e Prietita y La Llorona (1996)?

G: Why am I compelled to write?26

V: Di indirizzarti a nuovi destinatari?

G: I write to record what others erase when I speak27

V: Continuando quel percorso per immaginare nuove forme di scrittura critica….

G: To rewrite the stories others have miswritten about me, about you28

V: … per evitare un punto di vista degeolocalizzato e anestetico

G: To become more intimate with myself and you29

V: …annullare le frontiere tra teoria ed esperienza

G: Because I must keep the spirit of my revolt and myself alive…30

V: …e considerare la scrittura come pratica artistica, spirituale, politica

G: Finally, I write because I’m scared of writing but I’m more scared of not writing.31

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Valentina Cipullo Callegarini