“Il Cigno” è un progetto curatoriale di Margherita Musi ispirato dall’immaginario folk e vernacolare. L* artist* presenti in mostra si incontrano, per tematiche o media, manifestando un avvicinamento o riavvicinamento a narrative tradizionali e popolari. Sebbene sia inevitabile il rimando all’ “Arts and Crafts”, l’immaginario tradizionale si riscopre in un’estetica eterea e trascendentale, fiabesca, immaginifica e atemporale. La mostra funge da dialogo per esplorare non solo identità individuali e collettive ma una continuità culturale. Agata Ferrari Bravo ci mostra come l’objet-trouvé e l’assemblaggio riportino in vita creature provenienti da mondi diversi, eppure avvicinandoci abbastanza da risultare scomodi, noteremmo come ogni particolare delinei delle mappe ben definiea di luoghi e avvenimenti personali, personalisssimi e non.
Tessuti, diverse tipologie di carta, ed innesti di varia origine, si trovano anche nei lavori di Isabella Ducrot. Ducrot controlla tutti gli ingranaggi del suo lavoro, riportando oggetti e personaggi familiari sulla superficie pittorica, usando la ripetizione come decorazione attraverso fantasie e temi che scorrono inesorabilmente.
I lavori scultorei di Sofia Bordin sono costruiti sul linguaggio elaborato nel 1919 da Annie Besant e Charles Webster Leadbeater, nel loro libro Occult Chemistry (Clairvoyant Observations on the Chemical Elements). In questo scritto pseudo-scientifico le forme molecolari e gli elementi chimici vengono analizzati dagli autori attraverso la chiaroveggenza, per poi essere rappresentati sotto forma di elaborazioni visive e quindi visibili. Besant e Leadbeater tentano di unire l’apparente divario tra scienza meccanicistica e la spiritualità, che riconoscevano come aspetto fondante nell’investigazione del reale. Nelle pagine di Occult Chemistry, l’osservatore umano diventa perciò uno strumento di rilevamento dell’occulto, da definirsi come ciò che appartiene ad un mondo invisibile e nascosto.
I Piccioni di Santiago Licata rappresentano l’intento di materializzare un punto d’incontro tra devozione e mondanità. Questi, simbolo del cielo e quindi anche del sacro, diventano un avatar della sporcizia urbana. Realizzati in cemento, materiale associato al costruire e alla città, con cui l’artista tenta di evocare una connessione animistica con i materiali che considera fondamentali nella creazione di oggetti artistici-magici, abitando la dualità tra divino e terreno. Il Cesto porta pane di Ico Parisi, che dall’altissimo veglia sui lavori di tutti, esplicita la connessione con il mondo in cui la forma diventa funzione, tramite un oggetto che incarna e riassume perfettamente in tutto e per tutto l’anima “folk” dell’intera mostra.