In geologia definiamo Xenolite la presenza di un corpo estraneo portato da una colata lavica che nella fase di cristallizzazione resta come elemento autonomo alla fase finale delle strutture naturali. È un modo attraverso il quale il nostro sguardo definisce alterazioni anomale all’interno di un paesaggio estetico: tutto ciò ci mette davanti a un problema di classificazione … le cose esistono autonome nell’inventario del mondo della metafisica e poi soltanto successivamente siamo noi a dargli un nome, o sono i limiti dei nostri nomi a doversi scontrare con l’impossibilità di una classificazione ibrida delle cose della natura?
Uno xenolite, come mostra la stessa etimologia greca, tradisce la presenza di uno straniero all’interno di un corpo apparentemente unitario. Eppure ovviamente sono due livelli di realtà tra loro amalgamati in modo armonico che tuttavia l’occhio percepisce con un’alterazione disarmonica. Ma dove inizia l’artificialità e dunque lo straniero e dove termina la realtà unitaria ed ordinaria? In un certo senso le opere di Nicola Martini, giocando con la data-titolo di una delle più celebri colate del vulcano Etna, parlano di questo: quanto la realtà non è altro che un insieme di cose che sono solo e soltanto cose, e dove invece l’architettura umana individua sbalzi o alterazioni. Sembra un mero problema metafisico con risvolti estetici ma in realtà siamo davanti a quello che potremmo definire un paesaggio morale. E la realtà che ci trascende e le eruzioni di un vulcano sono proprio questo: l’incontrollabile ferocia meravigliosa del realismo a cui presto tardi tutti dobbiamo soccombere.
Eppure in questo gesto di osservazione della realtà e dell’incontrollabile si annida lo xenolite, cioè una resistenza formale del prigioniero. Che sia un materiale che prova a incollarsi all’altro creando una intensità, cioè forse la vera miccia esplosiva di un’opera d’arte contemporanea, oppure un semplice prigioniero di un’immensa colata lavica, la vita contemplativa come quella materiale di ogni giorno si caratterizza come uno scontro che è anche un incontro: non esistono materiali, tra loro profondamente diversi, relazioni che possiamo definire non violente. Eppure è nella bilancia di queste due forze che la violenza si trasforma in un equilibrio, ed ecco dunque il risvolto morale di un apparente fenomenologia estetica.
Ogni colata lavica non è altro che è un fenomeno di creazione nascosto dietro un apparente fenomeno di distruzione. A questo dunque assistiamo: che cos’è un atto di creazione? Il vecchio mondo che salta in aria, ma di cui dunque continuiamo a percepire strati antichi su cui noi stessi camminiamo: come nella città di Catania che dell’Etna è il teatro più evidente è che riposa su numerosi strati di popoli antichi.
Xenoliti che noi stessi dunque siamo, dove la stupida distinzione tra natura e cultura salta definitivamente in aria in un continuo bilancio contemplativo e poetico tra realtà e interpretazione.