Spartizioni di

di 11 Aprile 2024
Roberto Pinto, Helena Kontova e Francesco Biennale durante l’allestimento di “Aperto ’93”. Fotografia di Mario Gorni. Courtesy Careof Milano e Mario Gorni.

 

La tendenza alle spartizioni, le guerre di spartizione, hanno dominato recentemente lo scenario europeo. Per paradosso, il filosofo sloveno Slavoj Zizek ha notato che la Yugoslavia potrebbe essere il nostro futuro, il nostro XXI secolo, con tutta l’ironia cinica che un’affermazione del genere propone.
Ma il progresso morale esiste, e va proprio in direzione di una maggiore solidarietà umana.
Quest’ultima, tuttavia, non consiste nella consapevolezza di un io centrale, l’essenza umana; consiste piuttosto nel saper togliere importanza alle differenze tradizionali (di tribù, religione, razza, usi e simili) se confrontate alla somiglianza nel dolore e nell’umiliazione; nel saper includere nella sfera del “noi” persone immensamente diverse. Le grandi mostre internazionali possono trarne vantaggio.

Richard Rorty suggerisce che i maggiori contributi che l’intellettuale moderno ha dato al progresso morale sono le descrizioni dettagliate di particolari forme di dolore e umiliazione, per esempio nel romanzo o nello studio etnografico. Anche perché gli svolgimenti recenti ci insegnano che non ci possiamo richiudere nel “nostro” mondo. Il Secondo e il Terzo mondo sono fuori ma anche dentro di noi. Un terzo del Primo mondo è già il Terzo mondo.
Per Lacan la comunicazione con l’altro esiste perché siamo divisi e in questa divisione è già compreso l’altro. Stiamo cercando nell’altro la nostra parte mancante, è proprio l’antagonismo che ci unisce. Il nostro discorso è secondo Lacan già il discorso dell’altro.

La realtà, il sociale, rappresentano oggi il campo dove si producono i temi; l’arte non può fare altro che criticare questo mondo da dentro. La critica diventa ancora più importante nel sistema che è diventato oramai globale. Il problema comunque rimane verso chi si debba indirizzare, vista la perdita del potere centrale e l’esistenza di tanti poteri individuali, che impediscono al potere di consolidarsi: il nemico esterno è scomparso, il nemico non è fuori ma dentro ciascuno di noi.
Gli artisti di oggi sentono sempre con maggiore urgenza l’impossibilità di prendere una posizione definitiva, il loro operare si avvicina più ad una struttura mentale aperta, fragile ed effervescente, come quella di un adolescente, che riesce maggiormente ad adattarsi e a contrapporsi alle esigenze dei messaggi contradditori e degli spostamenti continui.
Julia Kristeva nel suo ultimo libro, Le malattie dell’anima, riaffermando l’importanza del corpo e dei suoi stimoli nella psicoanalisi per la ricostruzione della vita interna del paziente, attribuisce ad uno psicoanalista la necessità della stessa struttura aperta e fragile per aggiungere una maggiore oscillazione comunicativa ed affettiva nel confronto con il paziente.
La necessità di lasciare comunque un qualcosa che riesca a provocare uno scambio tra opera e spettatore è molto evidente nei lavori degli artisti presenti nella mostra che spesso cercano gli effetti di disagio, di oscillazione, di spiazzamento e di violenza visiva o fisica come se volessero farci ritornare a noi stessi e dentro il mondo. L’arte resta, secondo Lyotard, ciò che si “ritrae” dallo spazio pubblico, una zona di penombra dove si svolge la tragedia.

Heiner Muller ha osservato in un’intervista rilasciata poco dopo la caduta del Muro di Berlino, che la più grande opportunità offertaci dallo scambio tra l’Este l’Ovest è l’assorbimento dei risultati dei processi di accelerazione propri all’Ovest all’interno dei ritmi lenti caratteristici dell’Est.
Poiché nell’Est, secondo Muller, le persone sono sicuramente più vicine all’unità tra la vita e il lavoro, i risultati dei processi accelerati potrebbero essere in questo modo umanizzati. È un’idea affascinante che trova la sua controparte anche nell’ambito delle teorie economiche. La velocità, un’accelerazione continua della quale vive la civiltà moderna, viene messa spesso in discussione anche da un punto di vista efficientista, perché un’accelerazione esagerata può portare al suo contrario, alla nuova immobilità. “Il campo della libertà si restringe. E la libertà esige lo spazio. Quando non ci sarà più lo spazio, le nostre vite diventeranno come un terminale, una macchina con porte che aprono e chiudono. Un labirinto per gli animali da laboratorio”!.

Per la comunicazione, diceva Beuys, il corpo è indispensabile e “nessun uomo ha altra possibilità, perché anche se parlo soltanto, utilizzo il mio corpo, cioè la mia gola, la mia lingua e tutto il resto per comunicare”2. Se pensiamo al volto di Beuys puro e luminoso, invecchiato con dignità e sofferenza nello spot pubblicitario per il whisky giapponese, è l’immagine della salvezza messa a confronto con qualcosa di più nocivo come possono essere l’alcool o la droga.
E difficile pensare al suo posto un artista di oggi, oppure creerebbe un effetto diverso. Gli artisti giovani sono sospetti nei confronti dei media ma contemporaneamente dichiarano l’impossibilità di delimitare i territori del naturale, del culturale, del tecnologico, del politico, del sessuale o dell’emozionale. L’artista quindi tende a non demonizzare i singoli aspetti, ma a esplorare le interdipendenze deterritorializzate tra la Natura e la Cultura.
Esiste un nuovo isolamento del corpo prodotto dall’esperienza della tecnologia mediale. Un isolamento arricchito dalla lussuria dei media stessi.

Oggi, nell’ambito delle previsioni socio-economiche, si parla della creatività come della risorsa da esplorare. La “qualità totale” discussa recentemente (in economia significa l’affidabilità di un prodotto) prende in prestito il meccanismo congeniale all’arte concettuale, dove le opere esistono grazie alla partecipazione evocativa del fruitore. Morace parla nel suo libro Controtendenze del consumo programmato, cioè quando la dimensione ludica, il gioco con le merci prevale sulla funzione, non si consumano solo oggetti per il gusto di consumare, ma pare aprirsi insieme anche uno spazio di fruizione riflessiva, contemplativa. L’idea del nuovo consumo propone un equilibrio tra il mondo materiale e il mondo immateriale, attraverso cui non necessariamente la prima dimensione verrà penalizzata rispetto alla seconda. L’uomo più conscio dei suoi limiti e messo a contatto quotidiano con la morte, per questione di sopravvi-venza, non seguirà più in piena libertà i flussi del desiderio, ma sarà costretto a calarsi più in profondità.
La realtà rimane il migliore antidoto all’ideologizzazione e all’utopia. E questo rimane il messaggio più acuto degli artisti in questa mostra.

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Helena Kontova