Sarò sincera. Ogni volta che una mostra riesce subito a riportarmi alle parole di un romanzo, un racconto, una poesia, diventa irresistibile leggere le opere attraverso quelle parole. Nel caso della mostra di Chiara Camoni in Pirelli HangarBicocca “Chiamare a raduno. Sorelle. Falene e fiammelle. Ossa di leonesse, pietre e serpentesse”, il mio spirito guida è stato Le piccole persone di Anna Maria Ortese. In particolare, un racconto che ha per oggetto una di quelle piccole farfalle che nelle sere d’estate non resistono alla luce elettrica. Nel racconto, però, la farfalla pare non essere riuscita a resistere alla tentazione di avvicinarsi a una piccola conca d’acqua su una superficie di marmo, e la prima persona singolare del racconto la salva dall’annegamento: alita sulle sue ali fradice e avvicina una goccia di vino alle sue antenne immobili riuscendo così a rianimarla.
La delicatezza impalpabile delle stampe vegetali su seta cruda di una Tenda (2019) e una Tenda #3 (2023) di Camoni mi ha subito portato alle ali di polvere della farfalla messa in salvo. Le stampe vegetali su seta appese a una struttura circolare di ottone vibrano al passaggio, e le macchie di colore lasciate impresse dalle piante compongono creature antropomorfe che in cerchio ricordano una danza di ninfe. Allo stesso modo, gli smalti verdazzurri lattiginosi depositati sul fondo dei piatti di ceramica della serie di Piatti e Brocche (2021-2024) mi hanno ricordato la grazia di quel gesto rivolto a una creatura grande qualche millimetro appena. Le sculture sono oggetti del quotidiano, hanno forme vegetali, alcune fanno pensare a degli insetti, e la loro superficie è irta di increspature che affiorano dagli smalti lucidi depositati sul fondo, come avanzi di pasti remoti.
La serie delle Sorelle, invece, si può dire riesca a restituire la natura collettiva e collaborativa della pratica di Chiara Camoni. Assemblate per addizione di lunghe collane composte da piccoli elementi di terracotta policroma, le Sorelle sono sculture imponenti composte da molte mani che hanno pazientemente infilato una piccola ceramica dopo l’altra, con la devozione con cui si sgranano i rosari e la spensieratezza con cui si infilano collane di fiori. Anche la mostra procede per addizione di elementi scultorei che, nello spazio dello shed di HangarBicocca, illuminato dalla luce del sole che filtra dai lati della sala, restituiscono un paesaggio di marmi, onice, erbe secche e terracotte.
Bisogna rendere merito alla grazia che le sculture di Camoni riescono a evocare, ma come dimostra la tentazione di farne una lettura letteraria, per non dire letterale, si ha l’impressione che le opere rimangano talvolta intrappolate in una dimensione illustrativa e aneddotica. Leggo del giorno in cui nel giardino dove l’artista vive e lavora sia arrivato un serpente e di come non abbia avuto dubbio che si trattasse di una serpentessa, e da come ne siano derivate le sue serie di sculture, che qui troviamo nella versione Serpenti e Serpentesse (2024), installazioni di materiale lapideo a pavimento, a disegnare gli ambienti della mostra. E leggo che per le sue Leonesse (2024) in pietra leccese poste all’ingresso della sala il riferimento sia ai leoni della porta di Micene. E che per la costruzione simmetrica degli spazi della mostra si sia ispirata alle geometrie dei giardini italiani tardorinascimentali.
Il richiamo al rito, all’archeologico e al mito è forte, a volte erudito, altre ostentatamente naïve, quasi mai ironico, e il risultato è leggermente romantico, talvolta poetico. E la mostra riesce a ricondurre le opere all’imaginario del giardino, luogo che nutre la pratica di Chiara Camoni con le sue piante, le terre, le pietre e la mitologia a esse connesse. Ma a unire queste sculture, a parte una tavolozza spenta e terrosa, sembra essere un senso di immobilità intenzionale, e l’energia primordiale rivendicata risulta ormai sfiorita. Come le farfalle nelle notti d’estate, si può correre il rischio di lasciarsi tentare dai bagliori delle narrazioni e dalle acque del mito.