Immersa nell’oscurità di MATTA, “Fishphonics: Accelerando” (2024) di Clara Hastrup si presenta come una intricata installazione composta da acquari e strumenti musicali collegati tra loro e disseminati in un ambiente dove suono, movimento e luce si sovrappongono in melodie uniche e irripetibili.
Alcuni fasci di luce, proiettati dall’alto, si infrangono sulla superficie dell’acqua, illuminando dei sensori posti sul fondo delle vasche e inondando lo spazio con una fioca luminescenza bluastra. I sensori rilevano le ombre proiettate dai pesci che nuotano, trasformando così il loro movimento in impulsi elettrici. Attraverso un sistema di elaborazione elettronica, i segnali attivano xilofoni, tamburelli e metallofoni che producono una varietà di suoni in risposta alle azioni dei pesci. Il risultato è una sinfonia di concatenazioni e connessioni imponderabili, dove le composizioni sono generate dal movimento e dalle interazioni dei pesci tropicali che abitano gli acquari.
“Fishphonics: Accelerando” gioca con il suo arrangiamento sconnesso, disgregando il continuum spazio-temporale in cui la narrazione ha tradizionalmente funzionato. Lo svelamento del suo meccanismo è reso possibile dalla struttura stessa dell’installazione che essendo lasciata visibile palesa la propria messa-in-scena, e interrompe la cosiddetta sospensione dell’incredulità, in un contrasto tra la l’apparente complessità dell’opera e la trasparenza analogica della sua meccanica.
Così alle soglie dell’impercettibile, il meccanismo rivela il proprio regime dialettico, il suo costante divenire tra territorializzazioni, linee di fuga, assi ortogonali, movimenti e codifiche. Il suono sincopato, non lineare, non gerarchico, ma piuttosto istintivo e decentralizzato, è il prodotto del movimento che lo causa, dei flussi che lo attraversano. Non c’è una linearità logica né una stabilità decisiva: ogni volta è un’improvvisazione. Non sapremo mai, in anticipo, gli effetti dei concatenamenti che si andranno a produrre. L’opera è in continua trasformazione, e non può che improvvisare quando il divenire si insinua nelle pieghe incalcolabili degli eventi.