“Tutti i suoni sono pensieri, la musica è traduzione”, dice una nota che ho trovato in una conversazione con Margherita. In altre parole, le composizioni musicali intrecciano voci separate in pezzi complessi, aggiungendo significato a questi pensieri. Se i pensieri sono comunicati attraverso la nostra voce e la musica trasforma i pensieri in un’aumentazione più intuitiva e astratta del linguaggio, allora il fischiettare sembra essere sulla soglia di entrambi o un ibrido dei due. In un’interazione tra il corpo e l’aria, il corpo umano diventa esso stesso uno strumento musicale e al contempo il proprio suonatore. Nel fischiettare melodie spesso piuttosto improvvisate, il suonatore è inoltre un compositore spontaneo, che infonde ai suoni fischiettati un significato. Ma in questo stato intermedio, il fischiettare non è assolutamente una forma di comunicazione; per quanto possa essere diretto, è altrettanto suscettibile a interpretazioni errate e, per complicare ulteriormente le cose, limitato dall’incapacità di alcuni di fischiettare del tutto.
Similmente, le nuove sculture in alluminio di Margherita, nonostante la loro statica materialità, aspirano a parlare da sole: congelate in certe posture e avvolte nel tessuto, le figure rivelano i loro interni cavi attraverso aperture nel loro corpo che seguono la logica degli strumenti musicali a fiato. L’una presentata su un supporto per sax, l’altra adagiata su un piedistallo di mensole, esse abbracciano mezzi di comunicazione stabiliti: la mensola porta il linguaggio scritto sotto forma di libri pronti per essere letti, il supporto porta uno strumento musicale pronto per essere suonato. La forma figurativa delle sculture le identifica chiaramente come umane, anche se i loro corpi frammentati sono nascosti dalla tecnica del drappeggio; abbastanza per evitare un’interpretazione assoluta riflettendo sulla purezza attraverso la nudità e, come le loro pose, abbastanza vaghe da non essere riconosciute come allegorie specifiche. Il drappeggio usa la suggestione per creare desiderio (cosa c’è sotto?). Questo desiderio evocato potrebbe anche essere descritto come curiosità stimolata, l’essere sedotti a prestare attenzione a un segnale comunicativo che è stato inviato, spingendo a guardare più da vicino o ascoltare più attentamente.
Gli oggetti più piccoli e lucenti, esposti su una mensola a prisma nera sulla parete della galleria, sono fusioni della cavità dell’orecchio umano. Funzionando come processori dell’attenzione, queste strutture complesse permettono di tradurre il suono (e quindi i pensieri) ascoltando in significato. Come le altre opere della mostra, questa disposizione anatomicamente corretta si avvicina all’urgenza di percepire e comprendere attraverso il metodo dell’imitazione. Tutti i pezzi imitano condizioni di comunicazione con minima alienazione. Allo stesso modo, la grande griglia di acciaio funge da replica modulare 1:1 della finestra dello studio dell’artista, assomigliando a una membrana architettonica tra il luogo di lavoro personale e il mondo esterno, delineando così un momento di scambio percettivo e quindi di comunicazione.
Un’opera sonora a più canali accompagna gli oggetti in mostra, aggiungendo un livello performativo ai sensi della vista e dell’udito. Eight Types of Whistle (2023) si ispira al sistema di comunicazione storico dei tecnici teatrali che è emerso come una lingua alternativa per evitare confusione con le indicazioni di scena, creando inevitabilmente una distinzione tra ciò che è destinato a essere visto e ciò che è diretto dietro le quinte. Un’estensione di questo lavoro si trova sotto forma di poster distribuiti per la città di Milano, al di fuori della galleria. Questi si presentano come monocromi senza motivo, solo adornati da sovratitoli di diverse descrizioni di suoni di fischio. I sovratitoli sono noti dai teatri d’opera; accompagnano un pezzo eseguito come i sottotitoli in un film con una forma scritta dell’articolato. Tuttavia, come differisce un fischio di protesta da un fischio di lavoro? Proprio come le melodie fischiettate nello spazio espositivo, il loro significato tende verso un’interpretazione ambivalente, che, a seconda del luogo di percezione, può omettere una risoluzione a causa dell’assenza della descrizione corretta o della melodia accompagnatoria.
Tutte le opere sono legate da questa tendenza all’ambivalenza, poiché l’artista mira a esplorare le condizioni indefinite di generazione di significato attraverso forme non verbali di comunicazione. Questo coinvolgimento con segnali ambigui richiede un’attenzione e un curioso, paziente ascolto. L’aspirazione a comprendere il significato generato attraverso il linguaggio del corpo, i gesti, le melodie o il suono dimostra un impegno alla percezione e quindi anticipa l’emissione di segnali mentre si riceve, proprio come l’ultima opera della mostra: una fotografia di una donna da dietro, colta in un gesto che suggerisce di essere consapevole di qualcuno alle spalle. Perché il suo orecchio ci sta guardando.
Otto Bonnen