Ripensare la storia di un brand è un esercizio complesso e pericoloso.
È facile sbagliare, sottostimare il passato o enfatizzarlo, farsi prendere da ambizioni esagerate nel rilancio o da mitomanie personali per passioni e stile. La cosa più facile è infatti riprodurre l’archivio e mancare la contemporaneità, parlare di artigianato e diventare folkloristici, replicare modelli di successo e non superare la prima stagione. Perché la moda ha il vantaggio/svantaggio che invecchia velocemente, con un’obsolescenza che nemmeno la tecnologia e il digitale hanno.
Costruire dunque un senso e scavare quotidianamente nel profondo del produrre bellezza, nella moda come nell’arte, nel design come nell’architettura, oggi richiede tempo e grande lucidità. Jonathan Anderson ha percorso questi temi in modo inaspettato con la sua avventura in Loewe. Considerato un outsider, inizialmente, ha spostato la storia di un brand storico in una nuova dimensione, senza tradirne la tradizione ma rinnovandola per una nuova audience e un nuovo momento storico. Con un coraggio che è stato premiato dalla qualità di quello che vediamo. Che passa per il cinema e per l’arte contemporanea. La sua attenzione maniacale e poetica per l’artigianalità è un modo per ripensare e rendere attivo e importante il fare con le mani. In Anderson c’è sempre una poesia filosofica che lo ha spinto a indagare il tema del craft senza scorciatoie ma sempre con sorpresa e profondo senso di scoperta. Scoprire l’intelligenza umana che si applica alla produzione inventando nuove forme e materiali. Riuso, riciclo, spesso materiali di uso quotidiano, Anderson adora questo processo di innovazione. E ne rimane sorpreso. Come tutti noi.
Il LOEWE FOUNDATION Craft Prize rappresenta dunque questa dimensione potenziata di pensiero dove scoprire la diversità del mondo e della produzione indipendente. Un incredibile viaggio per latitudini e longitudini che dal 2016 chiama migliaia e migliaia di maker ogni anno a confrontarsi con una giuria, per finire in mostra in una capitale. Scorso anno New York, quest’anno Parigi. Indonesia o Chile, Corea o Nuova Zelanda, non importa. Incontrare gli artisti artigiani, le loro opere e la loro materia, legno, ceramica, tessuti, metalli, carta è un privilegio che questo premio concede nella sua unicità.
“L’artigianato è l’essenza di LOEWE. Ci occupiamo di artigianato nel senso più puro del termine. È qui che risiede la nostra modernità e sarà sempre di grande rilevanza”, Jonathan Anderson, direttore creativo di LOEWE. Quest’anno il premio è andato a Andrés Anza (nato nel 1991, in Messico), per l’opera I only know what I have seen, 2023. Anza è stato scelto tra trenta finalisti da una giuria prestigiosa formata da personalità di spicco del mondo del design, dell’architettura, del giornalismo, della critica e della curatela museale, tra cui Patricia Urquiola, Magdalene Odundo, Minsuk Cho, Olivier Gabet e Abraham Thomas. Tutte le trenta opere selezionate sono esposte al Palais de Tokyo di Parigi, dal 15 maggio al 9 giugno 2024. La Giuria ha assegnato tre menzioni speciali: Miki Asai (1988, Giappone) per l’opera Still life, 2023; Emmanuel Boos (1969, Francia) per l’opera Coffee Table “Comme un lego”, 2023; Heechan Kim (1982, Repubblica di Corea), per l’opera #16, 2023.
Cosa ci insegna questo premio? Che è possibile ancora molta innovazione e che il sistema moda ha una grande e attiva responsabilità nella contemporaneità. Perché può creare, meglio di molti altri sistemi, le piattaforme per i nuovi linguaggi, integrando la diversità umana, sociale, artistica che è il vero patrimonio sottovalutato che abbiamo.