Quante volte ci è successo di trovarci immersi in un paesaggio bucolico da sceneggiatura cinematografica e ciononostante non sentircene appagati? Di constatare un’idiosincrasia tra un desiderio lungamente anelato e il suo deludente raggiungimento? Quanti falsi paradisi abbiamo costruito, sognato o immaginato? Un affanno bucolico o una scienza religiosa sono tra i principali fautori dei “falsi paradisi”, di passati non esistiti, di mondi improbabili venduti come possibili se non imminenti.
Apparentemente, dalla notte dei tempi l’umanità rincorre la convinzione che il mondo che esperienziamo sia una grossa bugia, o quanto meno che non sia quello a cui guardare con assoluto interesse. Il Vecchio Testamento riporta l’illusoria esistenza di un altrove paradisiaco. Più tardi Platone, attraverso i suoi “miti”, ci ha spiegato che ciò che vediamo e percepiamo non è il Mondo Reale. Seguono e si susseguono leggende, religioni e racconti in cui si descrivono mondi paralleli, epoche future, evoluzioni ottimistiche o l’imminente fine del mondo. Morpheus esorta Neo, “questa è la tua ultima occasione”. A te la scelta: pastiglia rossa o blu?
Credenze, Mitologie, Paure ancestrali, Bugie patologiche, Narrazioni di Nani e Fattucchiere hanno generato mondi paralleli… falsi paradisi. Falsi Paradisi sono illusioni che l’uomo ha immaginato e costruito spesso per poter superare momenti complessi, disperati, sconfortanti. Creare narrazioni, inventare leggende o storie, veritiere o immaginifiche che siano, è una delle peculiarità dell’essere umano. Seguendo i dettami biblici, Dante Alighieri scrive “La Divina Commedia”, poema epico che descrive il viaggio attraverso i regni ultraterreni che ci spetteranno: Inferno, Purgatorio o Paradiso. Antonio Riello (1958 Marostica, Italia) brucia questo e molti altri libri dai primi anni 2000: celebra i funerali dei grandi scritti. Li distrugge ritualmente con il fuoco per poi racchiuderne le ceneri in ampolle di vetro soffiato al lume. Non si tratta di una profanazione barbara. Con la serie Ashes to Ashes l’artista da principio rende un estremo omaggio all’oggetto “libro di carta” e costruisce idealmente un reliquiario, ma in seconda analisi denuncia la necessità di ricercare nuove narrazioni e quindi scrivere nuovi grandi capolavori capaci di rispondere alle imminenti realtà che si affacciano nel nostro futuro.
Nella cultura mediorientale, le storie venivano raccontate anche nelle trame dei tappeti: in questi sono rappresentati simboli di antichissima origine che esprimono concetti legati alla storia, alle religioni e alla cultura dei popoli d’oriente. Il tappeto è portatore di un messaggio preciso, come un autorevole libro. Le narrazioni delle origini del mondo, di giardini dell’Eden prendevano forma attraverso un alfabeto di simboli chiamati “motivi”. Hiva Alizadeh (1989 Kerman, IRAN) presenta in mostra le rielaborazioni in chiave contemporanea di motivi persiani, utilizzando chiome brillati di capelli sintetici applicati a strutture in legno sagomato.
Passati ancestrali-spirituali sono invece i soggetti che attorno agli anni 2010 Wendell Gladstone (1972 Boston, USA) ha ricreato in un ampio ciclo di lavori. Il gesso e i gel a rilievo caratteristici dell’artista descrivono evanescenze invisibili all’occhio umano. Presenze di spiriti guida aleggiano nell’aria e la tela, suddivisa in due sezioni, simboleggia il mondo terreno sovrastato da quello ultraterreno, abitato dal Pastore che immola “l’agnello sacrificale” del gregge. Questa parabola biblica si incrocia ed innesta nei racconti narrati attorno al fuoco riguardanti gli spiriti guida delle tribù dei nativi americani.
Dai paesaggi ancestrali-spirituali passiamo con un salto quantico ai paesaggi spirituali-siderali di Paolo Cavinato (1975 Mantova, Italia). La sua è una necessità di astrazione e di distacco dal mondo reale per avvicinarsi alla perfezione imperturbabile. Nelle opere richiama spesso il concetto di soglia e di un Altrove dove non si palesano presenze umane ma solo linee e sequenze matematiche. Le sue ragnatele di fili illudono e confondono lo spettatore irretendolo nei suoi mondi invisibili.
La scienza, procedendo per postulati, tesi ed ipotesi, è paradossalmente l’ambiente in cui maggiormente convivono misteri e falsità da svelare. Nei secoli passati è stata addirittura sottomessa a leggi religiose, annebbiando la ragione e mandando al rogo chi si opponeva alla concezione cristiana delle Sfere Celesti. L’illuminismo ha sancito il primato della ragione e della scienza sulle credenze. Il paradosso che stiamo affrontando oggi è dato da una scienza tecnologica che ci regala mondi inesistenti e impossibili, paradisi sintetici che ci dissociano dalla realtà. Stefano Caimi (1991 Merate, Italia) si confronta con le nuove tecnologie nella convinzione opposta che solo la scienza possa salvare il mondo reale dalla distruzione dei suoi ecosistemi e dall’estinzione di flora e fauna.
Greta Frau (1942/1952/1962 Colonia, Germania) ha creato un mito attorno alla sua figura e al suo ritiro prematuro in Sardegna (un “vero Paradiso”!) e nella sua vita romanzata ha costruito tramite performance, scritti e opere figurative una comunità che vive nell’illusione di una eterna giovinezza. È un esperimento, a suo modo fantascientifico-distopico, che con la massima “Tutto è bello. Fate!“ inneggia alla dittatura della Bellezza: nei suoi dipinti dal sapore fiammingo, ogni persona entrata in contatto con la misteriosa Signora, uomo e donna che sia, viene ritratta -e conseguentemente vivrà eternamente- sotto le nuove sembianze di giovane collegiale. Esiste un chiaro sapore di nostalgia nei paradisi bucolici che ospitano la narrazione di Greta Frau, quasi a rievocare un’Arcadia perduta che è da ripristinare assolutamente, persino utilizzando le menzogne.
Ah, i mitici anni 70! Gli anni d’oro di un Occidente in espansione che ritrova un’apparente felicità e spensieratezza. Di quest’epoca restano così immagini sublimate dagli eventi nefasti realmente occorsi. Restano i colori sgargianti dei giovani hippy, il benessere e la libertà di costumi da poco conquistati immortalato in fotografie in bianco e nero o a colori ormai sbiadite. Cristiano De Gaetano (1975 Taranto – 2013 Martina Franca, Italia) collezionava queste foto di spensieratezza popolare tipiche degli anni 60-70 italiani. Queste immagini sono traslate in sagome dipinte ad olio, talvolta estrapolate dal contesto, fluttuanti e ammantate di un’aura benevola quanto illusoria.
A cura di Daniela Barbieri.