Vorrei avere la firma di qualcuno che sia stato curato dalla proliferazione
Qualcosa che toglie il peso…
Penso ai numeri uno dopo l’altro in una dilatazione proliferante…
Sono un tappeto volante su cui vivere…
Che mantiene l’assurdità e la leggerezza della favola…
Mario Merz
La Fondazione Merz presenta la mostra “Qualcosa che toglie il peso” dedicata a Mario Merz, negli spazi della Fondazione a Torino in via Limone 24. L’esposizione presenta una selezione lavori di Mario Merz tra installazioni, igloo, tavoli, tele e opere su carta. Fulcro della mostra, la grande opera Quattro tavoli in forma di foglie di magnolia (1985), esposta in questa occasione per la prima volta in Europa, realizzata in occasione della personale da Sperone Westwater e Leo Castelli a New York.
“Qualcosa che toglie il peso” prende le mosse a partire dal concetto, descritto dall’antropologo Claude Lévi-Strauss e legato alla necessità di individuare la natura profonda che si cela dietro ai modelli per arrivare alla base del pensiero umano, il quale nella sua diversità è definito sempre da leggi che sfuggono allo scorrere del tempo e alla varietà degli ambienti. Nel concetto di antropologia strutturale di Lévi-Strauss, le strutture vengono riconosciute come qualcosa che appartiene all’inconscio,similmente al principio di reciprocità che è all’origine del passaggio dalla natura alla cultura.
La frase che dà il titolo all’esposizione, Qualcosa che toglie il peso, è stata estrapolata da uno scritto di Mario Merz e si ricollega a questa necessità di guardare alla natura e allo scorrere del tempo per poter raggiungere un senso di leggerezza concettuale, che si ritrova nel nucleo di opere presentate. Nei lavori in mostra vi sono elementi e concetti che si ripropongono e che si legano in un percorso che, citando Merz, mantiene l’assurdità e la leggerezza della favola…
L’igloo Senza titolo (1997), immerso nell’atmosfera della prima sala, ritorna negli spazi espositivi della Fondazione dopo quasi vent’anni, e si presenta come una cupola cosmica che, attraverso le sue foglie d’oro, respira la luce reale dell’ambiente e libera riflessi dorati. Il concetto di luce rimanda anche all’utilizzo del neon, che dirige la mente su particolari insospettati, sottolineando elementi naturali e conviviali come nel caso di L’horizont de lumière traverse notre vertical du jour (1995) in cui vasi riempiti di vino e miele evidenziano insieme un riferimento al tempo e al corpo. Questa attenzione per la natura che si trasforma in cultura, trova una estrema espressione in Quattro tavoli in forma di foglie di magnolia (1985) a rappresentare una magnifica unione tra elementi e significanti. Il tavolo, struttura primaria per Mario Merz, in grado di rispondere ai bisogni essenziali e di sostentamento, rappresenta anche un luogo in cui affondano le radici del mangiare e dell’accoglienza. Qui, le foglie sono al tempo stesso tavolo e albero, elementi che si dispiegano verso l’interno ma in grado di aprirsi verso l’esterno, a evidenziare, ancora una volta, il simbolismo della proliferazione in grado di rendere visibili intervalli crescenti di spazio e di tempo, espressi anche dagli elementi incorporati nella superficie del tavolo in cera. Forme spiraliche e cuneiformi, segni di movimento ed espressione di ciò che Merz definiva come il sollevarsi della materia su sé stessa. L’utilizzo della cera diviene il fulcro che unisce insieme i riferimenti naturali, temporali e strutturali; è significativo, infatti che sia un materiale ottenuto da processi organici all’interno di complesse strutture sociali.
Disegni e tele alle pareti trasformano le sale in un territorio in cui è possibile fare esperienza di essere al mondo, coerentemente con l’idea di Mario Merz di abitare uno spazio, non tanto di “fare” una mostra. Il visitatore si ritrova catapultato nel tempo della mostra, suggerendo sempre un ritorno alla quotidianità dove la nostra attenzione viene indirizzata verso una meraviglia delle cose ordinarie a cui non dedichiamo mai sufficiente attenzione. Una videointervista con il curatore Herald Szeemann, realizzata nel 1985 in occasione della personale alla Kunsthaus di Zurigo, conclude il percorso espositivo.