P420 è lieta di annunciare la sua partecipazione alla decima edizione di Opentour / Art is coming out, rassegna organizzata dall’Accademia di Belle Arti di Bologna in collaborazione con l’Associazione delle gallerie di arte moderna e contemporanea Confcommercio Ascom, curata per il terzo anno consecutivo da Carmen Lorenzetti e Giuseppe Lufrano.
Protagoniste assolute della rassegna sono le opere di studentesse e studenti dei corsi biennali specialistici e dell’ultimo anno dei corsi triennali. In un rapporto biunivoco tra interno ed esterno, Opentour mette in relazione l’intenso lavoro di ricerca che si svolge in Accademia e incontra la sua realizzazione espositiva negli spazi dell’arte, in particolare nelle gallerie, fulcro dell’attività commerciale, con l’obiettivo di promuovere i giovani talenti e di introdurli nel mondo professionale.
P420 inaugura nei propri spazi in Via Azzo Gardino 9 la mostra Tre angoli, una porta e una colonna a cura di Massimo Bartolini, che quest’anno rappresenta l’Italia alla 60° Edizione della Biennale di Venezia. La prima sala ospita l’installazione site-specific di Anna Tappari (Cesena, 1999), vincitrice di Art Up | Premio dei Collezionisti 2023, sostenuto da Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna. La seconda sala, invece, accoglie un percorso espositivo che illustra le corrispondenze e le interconnessioni tra le opere di Sara Cortesi (Bagnacavallo, 1999), Dilan Perisan (Ankara, 1991), Tommaso Silvestroni (Forlì, 1999) e Federico Zamboni (Moncalieri, 1999). Utilizzando diversi media tra cui scultura, installazione, suono e video tutte le opere in mostra si confrontano, come cita il titolo, con lo spazio della galleria.
Come meglio spiega Bartolini: “La stanza bianca come una capsula Petri all’interno della quale l’isolamento ha avuto luogo. Un unico componente è presente, ma la materia inafferrabile della sua composizione fa pensare al vuoto. Così, il lavoro di Anna Tappari Ti Suonano I Capelli (2024), fatto di canto, respiro e funghi, che invece non respirano aerobicamente, apre uno spazio al vuoto, concentrandosi su una colonna che diventa un nocciolo di intensità, albero cantante al centro di una foresta fatta d’aria in movimento. L’unico del prisma verticale della colonna si dilegua per costruire un’architettura di riverbero per il suono. Un altro prisma di cemento, attratto verso il basso, è una fontana di Tommaso Silvestroni (Fontana II, 2023), abitante della soglia, introduce verso uno spazio di qualità opposta al primo, più denso, che incontra un’altra soglia, l’architettura organica e impermanente di Falena (2024) di Sara Cortesi. Una “tenda-cancello” la cui struttura di bambù, che mima il ferro battuto, sembra edificare un riparo leggero, fatto di ombre di grafite su una stoffa luminosa, e il mondo animale mineralizzato incontra e sostiene le volute aeree del vegetale. Volo che riverbera nel video Candiano (che sembra piatto all’aviatore che lo sorvola) (2024) di Tommaso Silvestroni, una vista dall’alto della location del celebre film di Antonioni, Deserto rosso (1964), ripresa con una telecamera attaccata a un aquilone, dove l’abbattimento delle torri di raffreddamento del complesso petrolchimico ENI di Ravenna disegnano un geoglifo in rilievo dell’incontro di due grandi cerchi che sono due mondi e pista di atterraggio. Ed è in una vista dal basso del video Teodora (2022), il cui video proiettore é letteralmente appoggiato sull’altro che emette Candiano, che sembra incontrare l’artefice di questi cerchi in una macchina che compie evoluzioni sul piazzale sterrato deserto proprio come un atterraggio. Sempre ad altezza suolo si compie il lavoro di Dilan Perisan, con Excavation of the Solaris (2020) — anche qui il titolo coniuga l’alto di un film (Solaris di Tarkowskij, 1972) con il basso del mondano (l’ambiente domestico di Perisan) — che tratta la casa come un laboratorio nel quale i vetrini di ricerca sono delle mattonelle da cucina su cui poggiano i risultati della trasformazione di spazzatura in scultura. Trasformazione di pietra in scultura per giustapposizione (Vita di Milarepa, 2024) e di legno in pittura per focalizzazione (Passaggi, 2021) guida questi lavori di Federico Zamboni, il quale, con un istinto per la tecnica come guida alle relazioni e con un’attitudine da etnologo, raccoglie elementi che fondano la sua opera investigando metodi e narrazioni a partire dai suoi luoghi d’origine ed integrandoli con esperienze provenienti da altre culture. In finale la stanza bianca, simbolo della cultura della separazione uomo-mondo, diventa luogo in cui diversi materiali e tradizioni si incontrano per formare una zona di complessità, avvicinandosi a quella circostanza di collaborazione totale tra le miriadi di esseri che hanno originato la vita… Una specie di regalo, un palpito, un appunto al corpo della porzione di mondo che è questa stanza, qui a Bologna, viene da Orecchino da parete (2024) di Sara Cortesi, un gioiello organico che, come una piccola ragnatela di un ragno fatato, illumina l’angolo più lontano, con una luce che abbraccia splendore e decomposizione con la stessa leggerezza e soave allegria.”