La piazza come luogo di incontro è un posto che appartiene a tutte, “anche ai vagabondi”. È dove i corpi assieme all’abito negoziano spazio e desiderio. “In questo luogo speciale tra le terme romane e la torre medievale” la collezione SS25 di Rambaldi appare un’alleanza dove “evocare le nostre amiche, le nostre speranze”, quelle tante care cose che si aggrappano a una speciale dimensione affettiva che mi trova impreparata emotivamente.
In un momento in cui il livello di ansia è alto e la vicinanza all’altro sembra l’atto più autentico e semplice che si possa raccontare, il lavoro del designer Marco Rambaldi dimostra la genuinità di chi sta dietro e dentro le cose, incitando a riposizionare lo sguardo: gettarlo altrove, al circolo delle amiche, come appunto raccontano le stampe-manifesto della maglieria.
Ogni silhouette è espressione di un immaginario composto da una grammatica sentimentale, che ricontestualizza e risignifica una quotidianità “cara” contratta dal tempo presente. Mi sembra, questa alleanza affettiva tra corpi come atto di dissenso, la chiave per leggere la collezione, che guarda ai codici con desiderio infantile incessante, destabilizzando con emotività chi osserva.
Attirare l’attenzione sui modi spesso invisibili in cui certe cose plasmano l’esperienza, a volte senza rendersene conto, è un atto delicato e potente che l’arte, come la moda, indaga a favore di forme sensibili, e quando i dettagli come le sottovesti di tulle stampato e le gonne di raso con fodera interna a vista, diventano elementi iconografici attraverso cui osservare altre geografie affettive, significa riuscire ad allineare lo sguardo di noi spettatori.
“Per questo (più o meno) ci si veste da sera. Per dare forma, forza, solidità a un momento speciale che comincia quando pare che la vita stia per essere invasa dalle tenebre; anzi, uno può dire che ci si veste da sera per ritualizzare questa specie di ansia, questa permanente rappresentazione meraforica”, sono le parole di Ettore Sottsass che mi risuonano guardando la piazza affollata, dove in un movimento che non investe nessuna categorizzazione di genere, gli abiti si fanno dimensione collettiva e plurale.
Fuggire dalla rappresentazione del vestirsi a favore di una presentazione del reale, significa riscrivere, ricapitolare al di là delle differenze. È per questa forma di immaginare il futuro, che credo gli abiti un’ingegnosa fessura evocativa, capaci di tradurre in energia il disagio che contraddistingue la precarietà e la vulnerabilità del nostro tempo. Attraverso l’apparente negatività, si afferma una volontà propositiva: è così che allo stesso modo la collezione ricorda una sorta di fantasticheria, le lavorazioni all’uncinetto, le sfumature di rosa e i cuori arcobaleno, elementi cardine della ricerca di Rambaldi.
“Certo ci fu qualche tempesta”, così chiude Battiato che mi trova nuovamente impreparata perché di un’espressività non traducibile: nonostante tutto, a prevalere sono le emozioni positive, quelle tante care cose.