“XNL Aperto” / Piacenza di

di 20 Settembre 2024

Giunto alla sua terza edizione, “XNL Aperto” trasforma per 48 ore la città di Piacenza in una piccola capitale dell’arte contemporanea. Per le gallerie, un’opportunità di fare rete e per la cittadinanza di scoprire e riscoprire realtà note e non. Al termine del weekend inaugurale, ciascuno spazio torna alla sua “vita ordinaria” lasciando alla comunità una nuova mostra da visitare durante le settimane successive.

A guidare la manifestazione è senz’altro la proposta curatoriale di XNL, prima grande istituzione a Piacenza a occuparsi di arte contemporanea, sotto la sapiente direzione artistica di Paola Nicolin. Come avviene da ormai due anni, il museo inaugura contemporaneamente due mostre, un dittico espositivo che associa formati, tecniche, visioni e personalità differenti: questa volta è il turno di Valentina Furian, con la sua “Notti bianche” e di Dafne Boggeri, che presenta in collaborazione con SPRINT, Out of the Grid. Italian Zine 1978-2006.

Oltre a essere la prima personale di Furian in una istituzione italiana, “Notti bianche” è il quarto atto di una riflessione interdisciplinare che Nicolin ha intitolato Sul Guardare: un ciclo di mostre, ispirate all’omonima serie televisiva di John Berger, che mette in dialogo opere note e meno note del patrimonio culturale piacentino con artisti contemporanei. Non si tratta di accostamenti anacronistici o di somiglianze suggestive, piuttosto di un invito a esercitare nuovamente l’attenzione, tanto alle forme visive del presente, quanto a quelle del passato. Con “Notti bianche”, Valentina Furian costruisce un discorso visivo potente sul rapporto umano con l’animalità: a fare da trait d’union è il corpo del cavallo, riferimento alle sculture equestri barocche che si trovano nell’omonima piazza cittadina. Gli animali sono scomposti e ricomposti: dai video Centauro e Diventare unica, che mostrano lacerti muscolari degli animali vivi, sottoposti al processo di domesticazione umana, fino ai cavalli stramazzati le cui sagome tracciate sul plexiglas trasparente emergono alla fine del percorso di visita come due occhi, illuminati da un bagliore verde che richiama la luminescenza dei visori notturni (La nostra lunga notte). Voltandoci, scopriamo che la tenda nera che abbiamo scostato per accedere alla sala, altro non è che l’unica presenza “tangibile”, messa nero su bianco: l’espressione terrorizzata di un cavallo bianco che ci restituisce il suo sguardo pietrificato (e pietrificante). Quello di Furian è dunque un intreccio denso, e per questo non risolto, di dinamiche oculari e macchiniche, che mobilitano lo sguardo, ne espongono il potere, ne denunciano i pericoli, ne segnalano i limiti.

Al piano superiore, troviamo invece l’esposizione del progetto corale capitanato da Dafne Boggeri tratto dall’omonima pubblicazione per Les presses du réel (2023). Questo affondo nel mondo delle fanzine pre-internet prodotte dal 1978 al 2006 è di fatto una visualizzazione non solo delle tecniche di produzione di questi oggetti, ma in generale una riflessione sulle modalità di produrre e far circolare il sapere in contesti underground: linguaggi e stili migrano da un format all’altro, mentre i contenuti si riproducono con una viralità che troppo si attribuisce solo al digitale.

A pochi passi da XNL, UNA Galleria presenta “Chapter 1: May my vision be your present”, personale di Adji Dieye. L’artista porta in mostra un archivio spazializzato di immagini, ispirato ai principî architettonici del “parallelismo asimmetrico” proposto del primo presidente del Senegal indipendente Léopold Senghor: le immagini di Dakar impresse su strisce di tessuto divengono sia pellicola filmica, che materia mobile che si aggiunge agli scheletri delle architetture della capitale. Attraverso questi due dispositivi che fanno interagire stampa fotografica e scultura, Dieye riflette sul progressismo utopico, interrogandosi con un vocabolario postcoloniale sulle reti di potere che danno forma all’archivio.

XNL Aperto ha visto inoltre quest’anno l’apertura di uno spazio di archeologia industriale, con un grande potenziale espositivo per il contemporaneo: l’ex Magazzino Formaggi, parte del complesso del Consorzio Agrario, diventa Consortia, un luogo aperto a un’idea collettiva e condivisa di agire artistico promosso dall’associazione Tralaviaemeiliaeluest. La mostra inaugurale “Raccogliere cera sciolta, accendere nuove fiamme”, a cura di Francesco Fochi e Pierluigi Montani, ospita artisti del collettivo fondatore, insieme a giovani emergenti under 30 selezionati attraverso una open call. Gli ambienti dell’ex magazzino si prestano quindi a un collage di tecniche e media, che valorizza in modo particolare, forse per la natura stratificata e di per sé affascinante del luogo, il video: è il caso, tra gli altri, di To not stay still di Camilla Dalmazio, una ruminazione visiva sull’autofagia. Di particolare impatto anche le installazioni che cercano il dialogo diretto con il luogo, il precipitato della sua storia e la sua singolare conformazione. Checkpoint di prove colore trasforma le scaffalature in cabine quasi sigillate nelle quali ascoltare degli estratti audio da alcuni video di YouTube attraverso cui gli utenti affidano alla community momenti intensi, da “salvare” appunto come a un check point di un videogioco. Una riflessione su solitudine e collettività, in un’epoca di emotività espansa. O ancora, le Estensioni ortogonali di Mario Ugolotti visibilizzano la struttura architettonica dell’ambiente, trasformando una leggera traccia cromatica in una fitta rete che enfatizza la natura dello spazio, indipendentemente dalla sua destinazione d’uso.

Le realtà coinvolte nella rete di Aperto non si limitano alle sole mura cittadine, come è il caso del Museo della Merda, che si trova a 15 chilometri da Piacenza in località Castelbosco. Qui Gianantonio Locatelli ha avviato un progetto imprenditoriale, ecologico e culturale, sulla metamorfosi e sulla valorizzazione dello scarto. Per l’occasione, il museo propone l’installazione Atto di pensiero di David Reimondo: l’oggetto della trasformazione e della processualità è questa volta il linguaggio di simboli inventato dall’artista, che fiorisce letteralmente da una scultura cerebrale per poi farsi e disfarsi davanti ai nostri occhi grazie a un software programmato ad hoc.

Altri articoli di

Margherita Fontana