“Jean Tinguely” Pirelli HangarBicocca / Milano

10 Ottobre 2024

Pirelli HangarBicocca presenta “Jean Tinguely”, la più estesa retrospettiva realizzata in Italia dopo la scomparsa dell’artista. La mostra mette in luce la radicalità e la natura sperimentale di Jean Tinguely, tra gli artisti che hanno tracciato la storia dell’arte del XX secolo, rimarcando la sua attualità nel presente e la sua valenza contemporanea ancora oggi. Il percorso espositivo prevede un nucleo di quaranta lavori realizzati dagli anni cinquanta agli anni novanta che occuperanno i 5.000 metri quadrati delle Navate di Pirelli HangarBicocca dando vita ad un’unica coreografia sonora e visiva formata dalle opere più rappresentative del suo percorso artistico, da quelle cinetiche seminali alle macchine monumentali. La mostra “Jean Tinguely” è organizzata da Pirelli HangarBicocca in collaborazione con il Museo Tinguely di Basilea. Il progetto espositivo è a cura di Camille Morineau, Lucia Pesapane e Vicente Todolí con Fiammetta Griccioli. La mostra “Jean Tinguely” fa parte del palinsesto di eventi culturali realizzati per celebrare i cento anni dalla nascita dell’artista (1925-2025).

Sono un artista del movimento. Ho cominciato facendo pittura, ma mi sono arenato, ero in un vicolo cieco” (da Tinguely parla di Tinguely”, intervista in onda sulla Radio Televisione Belga il 13 dicembre 1982). Si autodefinisce così uno degli artisti più eversivi del secolo scorso che ha incentrato tutta la sua sperimentazione sul superamento della bidimensionalità e sull’assidua ricerca sul movimento della materia e degli oggetti e sul cambiamento continuo, scardinando il concetto di composizione permanente e definitiva. Un’attitudine artistica che si riferisce a temi esistenziali più ampi come la precarietà e transitorietà dell’essere umano e l’evoluzione dei contesti sociali e politici.

Jean Tinguely (Friburgo, 1925 – Berna, 1991) è infatti considerato uno dei grandi artisti pionieri del XX secolo che hanno rivoluzionato il concetto stesso di opera d’arte, e uno dei maggiori esponenti dell’arte cinetica. Al centro del suo lavoro vi è la ricerca attorno alla macchina con il suo funzionamento e movimento, i suoi rumori e suoni e la sua poesia intrinseca. Tinguely è tra i primi artisti ad utilizzare oggetti di scarto, ingranaggi e altri materiali che poi salda, creando macchine rumorose e cacofoniche funzionanti dotate di veri e propri motori. Le sue sculture presentano inoltre un carattere performativo grazie al loro costante movimento e alla loro peculiarità di coinvolgere il pubblico. L’ingranaggio, e in particolare la ruota, sono spesso gli elementi fondanti delle sue opere, i cui funzionamenti tradizionali sono volontariamente sgretolati dall’artista, che libera la macchina dalla “tirannia dell’utilità”, favorendo l’imprevisto e l’effimero all’interno dei suoi marchingegni assurdi e sorprendenti.

La mostra in Pirelli HangarBicocca è la più estesa retrospettiva realizzata in Italia dopo la scomparsa dell’artista e include circa quaranta opere, realizzate dagli anni cinquanta agli anni novanta, che occupano la quasi totalità dei 5.000 metri quadrati delle Navate. Il percorso di mostra è un’unica coreografia sonora e visiva composta da opere di vario formato, alcune addirittura monumentali, in cui emerge la componente sonora, quella dinamica e quella cromatica dell’espressività anticipatrice di Tinguely. Le opere meccaniche trovano un legame spontaneo con l’ampiezza dell’edificio ex industriale di Pirelli HangarBicocca e offrono al pubblico la possibilità di entrare in contatto e approfondire la pratica dell’artista svizzero che concepiva l’arte lontana dall’idea di autorialità, quindi mai univoca e definitiva: un’arte sovente realizzata come performance, talvolta collocata in luoghi non museali, transitoria e, grazie ai suoi elementi interattivi, capace di coinvolgere e affascinare.

Il percorso espositivo in Pirelli HangarBicocca si apre con due opere monumentali degli anni ottanta realizzate da Tinguely assemblando ruote, cinghie, motori elettrici e componenti meccaniche che rimandano alla catena di montaggio e in cui il rumore ha un ruolo fondamentale: Cercle et carré-éclatés (1981) e Méta-Maxi (1986). Lungo le navate la mostra segue un percorso cronologico. I visitatori vengono accolti da Méta-Matic No. 10 (1959-2024), una replica dell’opera che l’artista aveva realizzato in origine nel 1959. La macchina, azionabile attraverso un piccolo motore meccanico, realizza disegni astratti su carta con pennarelli colorati. La partecipazione dello spettatore diventa quindi parte integrante dell’opera, superando l’idea dell’artista quale unico creatore.

Seguono Tricycle (1954), Sculpture méta-mécanique automobile (1954) e Méta-Herbin (1955) che rappresentano il corpus di opere più storico di questa retrospettiva. Influenzato dall’astrattismo geometrico dei primi del Novecento, Tinguely realizza sculture con filo metallico, nominate dal critico d’arte Pontus Hultén Méta-mécaniques, cioè “oltre la meccanica”.

Requiem pour une feuille morte (1967), della serie caratterizzata da superfici monocrome nere, è una scultura monumentale ispirata alla sua esperienza come scenografo. L’artista riprende l’idea della retroilluminazione in cui le ruote creano un insieme stratificato di figure geometriche. Il gigantesco meccanismo è messo in relazione con il movimento di una sola piccola foglia di metallo dipinta di bianco, evocata ironicamente nel titolo dell’opera.

L’appareil à faire des sculptures e Gismo, entrambe realizzate nel 1960, sono opere emblematiche di una pratica scultorea realizzata utilizzando oggetti di scarto e rottami, simboli di una società del consumismo. In Ballet des pauvres (1961) Tinguely seleziona oggetti di recupero di uso domestico che appende a dei fili, come capi di abbigliamento, e altri oggetti metallici quali campane e pentole. Gli oggetti fissati a un soffitto sospeso sono collegati a un motore che li fa muovere producendo un rumore fragoroso.

La serie dei Baluba avvicina il pubblico a una questione storica drammatica che assurge a simbolo della lotta per la libertà. Il titolo della serie rimanda alla popolazione Bantu che aveva avuto un ruolo chiave nell’affermazione dell’indipendenza del Congo. In mostra sono esposte quattro sculture (del 1962 e 1963) composte da parti metalliche di recupero, piccoli oggetti come piume o altri elementi organici che le rendono volutamente spiritose. In mostra sono esposte anche sculture di piccole dimensioni, composizioni giocose composte da oggetti trovati ed elementi che riprendono la cultura popolare. Le gorille de Niki (1963) riprende l’iconico gorilla del film King Kong (1933). Vive la muerta (1963), invece, presenta una figura scheletrica su un cavallo che impersona la morte. Maschinenbar (1960-85) è un lungo tavolo che regge piccole sculture, realizzate con materiali di scarto, giocattoli e altri attrezzi, che sono azionabili elettricamente tramite pulsanti posti davanti all’opera.

Rotazaza No. 2 (1967) è un’installazione composta da un nastro trasportatore che rompe delle bottiglie. Quest’opera si pone poeticamente in opposizione alla catena di montaggio che viene spostata dal contesto unicamente produttivo a uno più ludico e critico, offrendo una riflessione alternativa sulla funzionalità e sull’uso degli oggetti. Plateau agriculturel (1978) si compone di parti di macchinari agricoli dal tipico colore rosso (un unicum nella produzione dell’artista), poste sopra una grande base di ferro. Le sculture si muovono liberamente sulla piattaforma di ferro ideata come un palcoscenico per uno spettacolo visivo e sonoro. Allestite insieme, Eos VIII (1966), Bascule V (1969) e Spirale IV (1969) fanno parte di una serie di opere composte da parti metalliche e motori che si muovono, che l’artista dipinge interamente di nero per porsi agli antipodi rispetto ai soggetti consumistici della Pop Art, all’epoca all’apice della popolarità.

In occasione della retrospettiva in Pirelli HangarBicocca, sono esposte anche le sculture-lampada che si distinguono dalle altre opere dell’artista poiché il movimento è secondario rispetto alla funzione primaria di illuminare. Tinguely crea opere con lampadine multicolore, Lampe no.2 (1972), allineate una dopo l’altra su una struttura arcuata, Lampe (ca. 1975-78), di grande scala installate a parete e a soffitto come L’Odalisque (1989), oppure progettate per decorare bar, Café Kyoto (1967), Mackay Messer (1991), Mercedes (1991) e Vive Marcel Duchamp (1991).

Pit-Stop (1984), Schreckenskarrette – Viva Ferrari (1985), Shuttlecock (1990) rivelano invece la grande passione dell’artista per la Formula 1 e per le gare automobilistiche, celebrando l’estetica della velocità e l’energia del movimento. I Philosophers (1988-1989) sono dedicati ai filosofi che hanno teorizzato l’antimaterialismo come Heidegger, Burkhardt, Engels, Rousseau etc. Per ogni pensatore Tinguely crea il rispettivo mondo e una personale rappresentazione. In Eight Philosophers, otto sculture cinetiche, riunite su una grande piattaforma di ferro, rappresentano altri filosofi, dall’antichità al Novecento. In quest’opera corale l’artista associa a ogni filosofo un titolo ironico come ad esempio “Democrito nei guai” o “Platone in azione”.

L’opera che chiude la mostra, Le Champignon magique (1989), è una delle ultime collaborazioni tra Jean Tinguely e Niki de Saint Phalle, duo artistico e compagni nella vita. La scultura ha la forma di un gambo di fungo, diviso in due sezioni distinte che simboleggiano la complementarità tra i due artisti: Jean era il movimento, io [Niki de Saint Phalle] il colore”. In concomitanza con la mostra “Jean Tinguely” in Pirelli HangarBicocca, si tiene a Milano, al museo Mudec, la mostra personale dedicata a Niki de Saint Phalle (dal 5 ottobre 2024 al 16 febbraio 2025), a cura di Lucia Pesapane e in collaborazione con Niki Charitable Art Foundation.

La retrospettiva in Pirelli HangarBicocca è anche l’occasione per ricordare al pubblico il profondo rapporto di Jean Tinguely con Milano dove ha realizzato alcuni dei suoi progetti più ambiziosi come La Vittoria (1970), l’iconica performance-spettacolo organizzata di fronte al Duomo. Nella stanza Lab, i visitatori trovano un approfondimento documentativo sulla scultura di forma fallica alta decine di metri (chiamata dall’artista anche Il suicidio della macchina) che il 28 novembre 1970 lanciò petardi in cielo per quasi mezz’ora, con in sottofondo la celebre canzone ‘O Sole Mio.

Cerca altri articoli

On View