La pratica di SoiL Thornton si manifesta nel suo diritto all’opacità, in un gioco di incomprensione e ambiguità, aperta all’indefinibile e al contempo chiusa nella sua vitalità privata così comune a tutti noi. L’esegesi dell’opera è complessa, si districa in tensioni psicologiche ed emotive dell’Io, un Io che viene preso per quello che è, non definito, non concluso, ma lasciato nella sua meravigliosa indecifrabilità, nelle molteplici sfaccettature che racchiude. In mostra viene esposto l’Io: di Thornton e il nostro, mio e tuo, di tutti noi nella nostra unicità. Siamo simili per struttura, ma diversi per infrastruttura, esperienze e traumi, nonché per imposizioni sociali, politiche, sessuali e psicologiche. Sia noi che l’artista, colti nella solitudine, ci apriamo agli altri pur rimanendo opachi, dissolvendoci nelle opere presentate nello spazio.
“Candidate screening methods” è la nuova mostra di SoiL Thornton la prima personale in Italia presso Progetto, a Lecce. Il titolo emblematico suggerisce quale sarà il tema, un “recruitment” metodico portato avanti dall’artista sull’identità individuale tramite una serie di 24 fotografie incorniciate e appese alle pareti, e una grande installazione al centro della stanza centrale, che lasciano velato l’argomento, ma che permettono l’immediato contatto con la dimensione privatistica dell’opera, profondamente ermetica nella sua complessità relazionale e nella sua apertura indefinita che si impone allo spettatore.
L’esperienza è ovattata, è evidente il senso di opacizzazione attuato dall’artista. Muovendoci nelle sale ci troviamo di fronte a una serie di fotografie negate. Si tratta infatti di screenshot di film e documentari che l’artista ha visto su Netflix — alcuni negli States altri a Lecce, senza VPN, vincolati agli accordi commerciali. L’immagine proposta risulta completamente negata per via del DRM (digital rights management) blocchi automatici imposti dalle compagnie di distribuzione streaming per evitare la libera condivisione di film normalmente a pagamento e coperti dal copyright. Un’immagine nera e sorda di cui rimane solo il contorno dell’interfaccia. Come suggerisce il titolo, 186,282 miles per second enabling 24 frames per second revoked, OR, Digital Rights Management (DRM) mirroring a rapid eye movement (REM) frame (2024), l’opera non presenta altro che l’interruzione di quei 24 frame per secondo causata da quello scatto che viaggia a 186,282 miglia al secondo — la velocità della luce che inonda il nostro viso nel buio della nostra intimità. Di questi film si può certo trarre un filone narrativo – la sofferenza psicologica dell’individuo in diverse forme — ma questo non è un elemento fondamentale quanto il vacuo silenzio della nostra mente, che durante quello scatto istantaneo si desta, e che nel momento di contemplazione in mostra, ci lascia immaginare al di là dello schermo come fossimo in bilico nel buio della fase REM.
“It is black. It is dark. You feel locked inside”1
Attraversando questo percorso di screenshot, nella seconda stanza di Progetto, troviamo un’installazione posta come un ostacolo, ovvero chromosomal discrepancy bridge (2024). È una struttura di 137 x 508 x 12 cm in legno colorato, costruita con le staffe solitamente utilizzate come schermi divisori degli orinatoi e qui disposta come una barriera, una sorta di parete divisoria tra il corridoio di passaggio e l’incavo represso della stanza dove tre fotografie sono appese a muro, semicoperte ma visibili. La struttura, che blocca fisicamente il passaggio, è interamente avvolta da una lente fotocromatica di transizione UV, un materiale semi-trasparente ma fotosensibile. Questa “lente” crea una deviazione leggera dei colori e della percezione delle cose retrostanti, si modifica costantemente e cambia colorazione di volta in volta, passando dal trasparente al violetto – le sfumature dell’umore e dell’identità – costituendo un ponte con l’inaccessibile.
Nonostante sia evidente il tema dell’offuscamento dell’immagine, l’indagine è più profonda, penetra nei vani nascosti dell’intimità di ognuno di noi, scandagliando soggetto per soggetto, sfumatura per sfumatura, senza mai realmente definire. Se si associa il titolo dell’installazione al titolo della mostra — chromosomal discrepancy bridge e Candidate screening methods — si nota l’uso di una terminologia medica, una sorta di metafora della cartella clinica. Qui non sono trattate però mutazioni cromosomiche, ma vi è un’analisi metodica traslata entro la complessa psiche dell’individuo, costituite da sensazioni e pensieri, un’indagine di come proteiformi identità siano oggi indirizzate e omologate in sistemi di evasione comuni, proprio come Netflix. Siamo di fronte a uno screening del vissuto, degli umori e delle sensazioni, delle infinite modificazioni personali che viviamo ognuno in modo totalmente differente. Di fronte a noi la freddezza del nostro stesso sguardo: siamo al contempo le “cavie” — usate “per esplorare o analizzare la precarietà della società, le infrastrutture oppressive o anche i piaceri complessi”2 — e i nostri stessi voyeur.