Lasciarsi alle spalle la città e prendere la via delle morbide langhe piemontesi per raggiungere Palazzo Re Rebaudengo a Guarene, situato sulle colline del Roero. L’itinerario è una sorta di rituale consolidato e collegato, maggiormente in questa occasione, a una narrazione che riformula attraverso vari linguaggi il concetto di rurale come idea di una vita più autentica e meno mediata, per riprendere il pensiero di Ivan Illich.
Con “Truly Rural” la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo riapre la stagione autunnale e presenta, nelle sale affrescate della storica dimora settecentesca, la mostra collettiva di Noor Abed, Massimo Bartolini, Sarah Ciracì, Mario Giacomelli, Helena Hladilová, Mauro Ledru, Marko Lehanka, Jumana Manna, Carol Rama, Athi-Patra Ruga, Eoghan Ryan e Wilhelm von Gloeden. L’intera operazione, curata da Bernardo Follini, è un’ampia esposizione di opere realizzate da artiste e artisti di varie generazioni, composta da video installazioni, fotografie, sculture e dipinti. Un invito nei confronti dell’osservatore a riflettere sul ruolo delle pratiche agricole e di allevamento, fondato su un rapporto di convivenza tra comunità insediata e ambiente naturale in relazione alle contraddizioni e alla crisi globale dell’ecosistema. I lavori in mostra esaltano, in maniera politica, antropologica e postcoloniale, una trasformazione dell’esistere che tramite il vissuto riformula relazioni sociali e lavoro in complesse dinamiche evolutive del mondo rurale contemporaneo.
La mostra dislocata su più livelli all’interno del palazzo, assume un’attenzione meticolosa che spinge ad analizzare sul piano paesaggistico, culturale e sociale un immaginario reale che prende corpo e visione nelle vedute sperimentali di Senigallia, impressionate nelle stampe ai sali d’argento di Mario Giacomelli. La serie, realizzata tra gli anni cinquanta e gli anni novanta, propone uno sguardo tra natura e rigore geometrico molto simile al disegno, tali morbidi segmenti entrano in decisa relazione con le volumetriche forme in ceramica di Jumana Manna. Questi enormi budelli, posizionati al centro dallo spazio, simulano le tubazioni industriali del sottosuolo, elementi estranei che modificano l’azione delle risorse naturali. Più sensibili sono le composizioni di Carol Rama nella serie del 1996 intitolata La mucca pazza. Otto sono le opere esposte e realizzate su sacchi postali con tecnica mista su carta, acrilico e camera d’aria, rappresentazioni espressive concepite nelle trasformazioni della malattia e di quel morbo che ha alterato la natura psicofisica degli animali, dissociando completamente corpo e mente. Le fotografie di Mauro Ledru e Wilhelm von Gloeden raccontano e documentano, da un punto di vista etnoantropologico e romantico, gli usi e i costumi della tradizione e della cultura contadina a oggi dispersa lentamente nel tempo. Nella stessa sala le esili sculture verticali in marmo di Helena Hladilovà divengono quasi degli oggetti sacri, finemente intagliati che potrebbero provenire da antiche popolazioni. Opere suggestive dove lo slancio verso il cielo nasce dallo sviluppo e dalla forma di un antico volto. Anche Marko Lehanka riprende le forme verticali proponendo, sulla base di un disegno di Albrecht Dürer, una scultura totemica formata da strumenti agricoli combinati uno sopra l’altro, così l’installazione diventa fragile rappresentazione delle condizioni sociali ed economiche dei lavoratori agricoli.
Le narrazioni filmiche di Noor Abed portano in scena alcune fiabe palestinesi “proponendo il folklore come strategia di emancipazione dal colonialismo e dal neoliberismo”. Simbolica è la scena in cui tre donne danzano, come in un sabba ancestrale, intorno a un fuoco dove corpi, gesti e paesaggio raccontano un delicato contesto politico e sociale. Due imponenti trivelle fuori controllo sbucano dalla terra e invadono lo spazio fin sopra alla volta, lasciando cumuli di terra e macerie. Così l’opera Questioni di tempo del 1996 della pugliese Sarah Ciracì trasforma l’intera composizione in uno scenario apocalittico, compromesso dall’eccessivo potere delle macchine e della tecnologia.
Rispetto agli ingranaggi meccanici dell’ultima sala, la serie fotografica di Massimo Bartolini evidenzia un forte legame dell’uomo con la terra e con l’ambiente campestre. In questa raccolta di quattro immagini a colori stampate su alluminio, che rimandano ad alcune narrazioni fotografiche di Luca Maria Patella, l’artista celebra sotto forma di gesti e pose insolite un sentimento immersivo e spirituale di un luogo a lui caro come quello della maremma toscana.
Truly Rural, titolo della video installazione dell’artista Eoghan Ryan, è proiettato tra balle di fieno e paglia allestita nella prima sala. Un’opera che forse raccoglie e condensa in maniera etica ed estetica, nell’intero metraggio compositivo, la maggior parte delle questioni elaborante nel corpus della mostra. Il video dell’artista irlandese traccia una sequela di filmati e immagini che denunciano tra la paura, la deriva autoritaria e la malattia, un processo corrotto e antidemocratico che contagia una visione presente del mondo rurale nella società contemporanea, rivelando tutta la complessità di ciò che oggi consideriamo autentico e naturale.