Fondazione Elpis presenta la mostra collettiva “YOU ARE HERE. Central Asia”, una vibrante costellazione di visioni artistiche provenienti dall’Asia Centrale, a cura di Dilda Ramazan e Aida Sulova. Due anni dopo la mostra “HAZE-Contemporary Art From South Asia” che ha inaugurato gli spazi espositivi di Fondazione Elpis nell’ottobre 2022, “YOU ARE HERE. Central Asia” offre una panoramica sulla produzione artistica contemporanea di quattro paesi dell’Asia Centrale- Kirghizistan, Kazakistan, Tagikistan e Uzbekistan- e riflette sul significato di identità, appartenenza, autoidentificazione e autodeterminazione, in un mondo segnato da migrazioni e spostamenti.
In mostra le pratiche consolidate ed emergenti di 27 artisti e artiste di diverse generazioni che spaziano tra pittura, scultura, video, fotografia, performance, opere tessili e installazioni site specific. Allestita lungo i tre piani della Fondazione e frutto di un percorso di ricerca svolto sul territorio asiatico, la mostra presenta le opere e le produzioni più recenti di Munara Abdukakharova, Aïda Adilbek, Chyngyz Aidarov, Aika Akhmetova, Vyacheslav Akhunov, Said Atabekov, Medina Bazargali, Azadbek Bekchanov, Bakhyt Bubikanova, Ulan Djaparov, Saodat Ismailova, Anna Ivanova, Kasiet Jolchu, Daria Kim, Jazgul Madazimova, Yerbossyn Meldibekov, Gulnur Mukazhanova, Nurbol Nurakhmet, Rashid Nurekeyev, Qizlar, Marat Raiymkulov, Sonata Raiymkulova, Alexey Rumyantsev, Zhanel Shakhan, Temur Shardemetov, Ester Sheynfeld ed Emil Tilekov. La mostra prende le mosse dalla frase “You Are Here”, universalmente utilizzata per indicare la presenza fisica in un determinato luogo, di solito accompagnata da un pin grafico che contrassegna la posizione e aiuta a orientarsi nello spazio fisico: una strada, una città, una regione, un Paese. In senso metaforico, questa frase manifesta la consapevolezza di sé e il riconoscimento del singolo all’interno di vari livelli esistenziali.
Oggi più che mai, in un mondo caratterizzato da costanti migrazioni e spostamenti alla ricerca di nuovi luoghi da chiamare “casa”, i concetti di identità e appartenenza risultano rilevanti per la rivendicazione dei diritti al riconoscimento individuale e all’autodeterminazione. I 27 artisti sono stati invitati a distaccarsi dall’idea letterale di mappa fisica e geografica, per concentrarsi invece sull’identificazione della propria presenza in uno spazio che provenga prima di tutto dalla percezione di sé stessi attraverso le proprie sensazioni, esperienze vissute, visioni e memorie. Le opere in mostra sono il risultato di questa riflessione: rappresentazioni di prospettive mentali, spirituali, geografiche, metafisiche e politiche relative alla propria autoidentificazione nello spazio. Nelle sale di Fondazione Elpis prende così vita un caleidoscopio di collocazioni distinte. Gli artisti ritrovano sé stessi intrecciati con la natura, incastrati tra mattoni da costruzione, oppure in viaggio lungo un orizzonte infinito. Altri si identificano in creature ultraterrene nascoste nelle crepe di un muro, oppure come vagabondi in un labirinto.
Ulan Djaparov e Temur Shardemetov si fondono con l’ambiente, annullando il confine tra uomo e natura. Nella performance River Dwellers (2024), Djaparov insiste sul tema dell’inquinamento delle acque, rivelando la sua paura per una problematica ormai divenuta parte integrante del paesaggio naturale. Al contrario, Shardemetov mette in evidenza l’armonia tra tutte le specie viventi – esseri umani, animali e piante – sfidando le aspettative generali sulla raffigurazione del paesaggio notoriamente desolato del suo luogo d’origine, il Karakalpakstan. L’installazione Landmark by the Sun (2019-2024) di Rashid Nurekeyev richiama un marcatore geodetico – ovvero un sistema matematico utilizzato per contrassegnare punti chiave di rilevamento sulla superficie terrestre – reinventato per mappare la presenza dell’artista sulla Terra, mentre Bir Ai (2024) di Said Atabekov si configura come un gruppo monumentale composto da ferri di cavallo, elemento centrale della cultura tradizionale nomade dei kazaki, che a seconda del contesto assume un simbolismo multilivello che si rifà alla luna, alla falce o alla mezzaluna.
Sonata Raiymkulova, Bakhyt Bubikanova e Daria Kim si presentano come esseri ultraterreni. Nella sua installazione multimediale site-specific senza nome, Raiymkulova si rivela come una creatura biomorfa nascosta nelle crepe di un muro, mentre la performance Sebastian (2013) di Bubikanova la ritrae come un angelo che guarda tra il sacro e il domestico. Nella performance The Other Skin (2022), l’artista Kim rivisita i ricordi d’infanzia di creature invisibili che scolpisce in plastilina sul proprio corpo, riflettendo così sul delicato confine tra realtà e immaginazione.
Il tessuto come mezzo di comunicazione è stato a lungo elaborato nel DNA culturale della regione dell’Asia Centrale. In particolare, le artiste Gulnur Mukazhanova, Munara Abdukakharova, Zhanel Shakhan e Anna Ivanova ne reiventano la tecnica introducendo narrazioni contemporanee. Nella sua installazione tessile site-specific Horizontal Line from the series Öliara: The Dark Moon (2022), Mukazhanova si trova a viaggiare lungo un orizzonte infinito creando uno spazio che collega tutti e tre i livelli dell’edificio della Fondazione, assicurando la continuità della narrazione della mostra. La scultura morbida Tar (2024) di Shakhan, esplorando il corpo femminile come contenitore di vita e resistenza, manifesta l’esperienza delle donne che sono spesso percepite come “troppo” per i ruoli imposti dal contesto sociale: troppo audaci, troppo attive, troppo schiette. Abdukakharova utilizza il toshok, tradizionale materasso da pavimento kirghiso, per esprimere le sue preoccupazioni sul futuro del suo Paese, mentre Ivanova nel suo New Patterns for Suzani: Tree Stumps (2024) ritrae la trasformazione e il rinnovamento del paesaggio urbano dell’Uzbekistan.
Il tema della memoria collettiva e della sua distorsione o cancellazione è affrontato in modo vivido nelle opere The Disappearance (2024) e Dust (2024) di Vyacheslav Akhunov e Ester Sheynfeld. Anche la pittura sperimentale su ottone di Nurbol Nurakhmet, Never Touch the Ground (2024), che può essere facilmente cancellata, riflette sulla storia perduta e riscritta. L’installazione NKVD (2020-2021) di Yerbossyn Meldibekov è una potente manifestazione di contesti geografici che diventano storici e politici. Nel frattempo, Emil Tilekov, nel suo Labyrinths (2024), agisce come un errante e come un testimone di tracce e impronte dell’esistenza umana.
Il dialogo intergenerazionale svolge un ruolo importante in Asia Centrale. Le giovani artiste Aïda Adilbek e Kasiet Jolchu hanno trovato ispirazione e sostegno nei ricordi e nei racconti delle loro nonne, mentre il progetto di Medina Bazargali mira a creare una linea telefonica di supporto emotivo con voci preregistrate di persone anziane che offrano conforto agli individui che affrontano traumi legati alla loro patria e alla difficile decisione di lasciare il loro Paese.
La performance Snail/Spiral (2021) di Chyngyz Aidarov illustra la situazione dei migranti per lavoro, definendo il loro territorio con le dimensioni di un materasso. Alexey Rumyantsev vede la comunità di migranti incastrata tra i mattoni del muro, con il tradizionale tessuto Ikat che funge da elemento legante e da vettore del sudore e delle storie dei lavoratori. I sentimenti di nostalgia e di vuoto lasciati dopo la partenza di una persona cara sono poeticamente catturati nella performance The Scent of Your Memory (2024) di Jazgul Madazimova. L’installazione Rage Fantasies (2023) di Aika Akhmetova rappresenta lo spazio d’ingresso comune tra la strada e la casa di epoca sovietica, noto come pod’ezd, come rifugio di esperienze intime e come trappola di emozioni passionali. L’opera multimediale In the Circle of My Heart (2024) di Qizlar rimanda ad internet e ai social media come un mondo di connessioni fittizie, dove emozioni ed esperienze creano una mappa-griglia delle relazioni dei membri del collettivo tra loro e con la loro città natale, Tashkent. Le opere video di Saodat Ismailova e Azadbek Bekchanov si riappropriano di materiale visivo ritrovato, sia che si tratti di filmati dell’epoca sovietica o di storie di Instagram, offrendo un nuovo sguardo sull’’Uzbekistan, loro paese natale. Il ritratto di individui in situazioni quotidiane banali, ironiche e assurde si riflette nelle animazioni fugaci di Marat Rayimkulov.
Abbracciando e presentando interpretazioni e narrazioni diverse, “YOU ARE HERE. Central Asia” vuole essere uno spazio familiare metaforico per discussioni aperte, conversazioni critiche e riflessioni profonde, dove ognuno può sentirsi libero di presentarsi come si immagina, senza la pressione di aderire alle dicotomie di prima e dopo, centro e periferia, conoscenza e ignoranza, Oriente e Occidente, che storicamente hanno plasmato la percezione della regione centroasiatica. La mostra vuole favorire le connessioni e rafforzare la visibilità dell’Asia Centrale nel panorama locale e globale, mettendo in discussione le narrazioni fuorvianti dominanti e le rappresentazioni stereotipate della regione.