Lucia Cantò “Stelle che sorreggono altre stelle” Fondazione Elpis / Milano

20 Ottobre 2023

Fondazione Elpis presenta “Stelle che sorreggono altre stelle” la mostra persona di Lucia Cantò, a cura di Giovanni Paolin e Sara Maggioni.
L’esposizione prende le mosse dalla stretta relazione tra l’artista e i curatori nata in occasione della terza edizione di Una Boccata d’Arte (2022) – progetto d’arte contemporanea diffuso in tutta Italia – che ha visto Lucia Cantò protagonista dell’intervento “Restrizione emotiva” nel borgo di Malamocco, in provincia di Venezia.

Presentando diverse evoluzioni delle linee di ricerca di Lucia Cantò (Pescara, 1995), “Stelle che sorreggono altre stelle” si concentra in particolare su due aspetti che caratterizzano la produzione più recente dell’artista: il vaso come presenza significante in uno spazio e le possibili modalità di collaborazione con una comunità temporanea. Due prospettive che, esplorate nella loro fase embrionale in occasione di Restrizione Emotiva, vengono ora approfondite e messe in relazione presentando una serie di opere inedite e amplificando le fasi di partecipazione al lavoro dell’artista.

Come affermano i curatori Giovanni Paolin e Sara Maggioni “Stelle che sorreggono altre stelle desidera avvicinarsi alle persone ed essere intessuta di relazioni, accogliendo chi guarda e mimando un processo vitale, grazie a un proprio ritmo interno e alla presenza di un laboratorio attivo, volto a stimolare una trasformazione nei suoi partecipanti. La stessa circolarità espressa dalle parole del titolo ricorda infatti un respiro che si rinnova e segna il passare del tempo”.

Affianca la mostra un percorso laboratoriale, avviato tramite open call e iniziato nel mese di settembre 2023, nel quale un gruppo di partecipanti, senza limiti di età, genere o professione, è chiamato a realizzare un autoritratto sotto forma di vaso in terracotta. Un’esperienza che trova spazio anche durante il primo periodo di apertura dell’esposizione, con la creazione al piano superiore della Fondazione di un ambiente di lavoro in cui si intrecciano occasioni di riflessione poetica, laboratori pratici e momenti di condivisione processuale.
Concluso il laboratorio, il primo piano si trasformerà da spazio di lavoro in spazio dedicato all’esposizione dei vasi prodotti collettivamente. Per assecondare tale cambiamento, le strutture presenti in sala sono state progettate grazie a un dialogo tra l’artista e Studio GISTO. Ne sono nati una serie di moduli pensati per una continua trasformazione, possibile grazie a diverse modalità di assemblaggio, per agevolare i processi, gli esiti e allo stesso tempo dare forma a un luogo di lavoro collettivo.

Il piano terra della Fondazione è invece dedicato a tre nuove produzioni che introducono alla visione dell’artista, fornendo anche delle chiavi per la lettura del laboratorio. Madre (2023), Edilizia di un pensiero (2023) e Stellario (2023) sono visibili contemporaneamente, riuscendo a convivere pur rimanendo comunque autonome. Abbracciando forme a lei care, tutte le opere ragionano secondo contrasti taglienti e corporeità simboliche.

Madre (2023) consiste in una scultura in terracotta composta da tre elementi assemblati in un unico equilibrio. Un elemento ospita e allo stesso tempo nasconde la giunzione di altri due elementi in terracotta. Fin dall’antichità, la produzione di vasellame gravita attorno a comunità femminili e, oltre all’attività di trasformazione e conservazione del cibo, si lega inevitabilmente al potere trasformativo e riproduttivo femminile. In particolare, Madre è la concretizzazione di un pensiero che nasce dalla raccolta di voci femminili, che l’artista ha trascritto su quaderni durante conversazioni con donne a lei vicine.

Composta da materiali eterogenei, l’installazione Edilizia di un pensiero (2023) pone il visitatore di fronte a elementi in forte contrasto tra loro, che con il loro dialogo restituiscono un’idea di fragilità. Le mantovane parasassi, concepite tradizionalmente per creare un ambiente di sicurezza e arginare il materiale edilizio in caduta all’interno di un cantiere, vedono ribaltata la loro funzione, ospitando al loro interno una serie di fiori che attraversano cicli vitali diversi durante il periodo di apertura della mostra. L’impianto scultoreo si pone come una lente di ingrandimento sull’inevitabile processo di essiccazione dei fiori, trattenuti e quindi lasciati cadere nel tempo, seguendo ognuno il proprio ritmo vitale. Questo processo aiuta chi guarda a tenere traccia delle diverse fasi che danno vita a “Stelle che sorreggono altre stelle”, in quanto mostra temporanea segnata nel suo corso da cambiamenti e trasformazioni.

Infine, la scultura Stellario (2023) prende il proprio nome dall’oggetto a cui si ispira: una corona in bronzo corredata da dodici stelle, trovata dall’artista durante un soggiorno a Napoli. Nell’opera presentata, tra i sette elementi che la compongono non esiste una gerarchia, ma ognuna di queste collabora con le altre, sostenendole e lasciandosi sostenere. Questo lavoro, che chiude il percorso espositivo del piano terra e introduce al piano superiore dedicato al laboratorio collettivo, ha ispirato il titolo stesso della mostra.

Come indica il titolo, che fa riferimento alla delicatezza di invisibili rapporti ciclici e alla forza generata da piccole costellazioni di punti luminosi, “Stelle che sorreggono altre stelle” si muove secondo un ritmo scandito da diversi cicli vitali, legati alla creazione e alla vita delle opere stesse: a un primo momento in cui si presentano i lavori dell’artista e alcuni esiti del laboratorio, ne segue un secondo in cui una parte dell’impianto espositivo si modifica trasformando lo spazio di lavoro in un luogo di fruizione degli autoritratti ultimati.

“Stelle che sorreggono altre stelle” è quindi una mostra circolare, che si apre e si chiude a contatto con la terracotta, attivata dall’investimento emotivo di una piccola comunità. Ciò che la tiene legata nella sua interezza e appare come cardine della ricerca di Lucia Cantò è la parola scritta, fatta di appunti, tracce sulle opere e segni che si confondono nello spazio espositivo. Il linguaggio è alla base di ogni scultura dell’artista ed è in grado di connettere ogni sua installazione.

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