Emanuele Marcuccio Damien & The Love Guru / Zurigo di

di 7 Novembre 2024

È aperta fino al prossimo 9 novembre 2024 la terza personale di Emanuele Marcuccio da Damien & The Love Guru, Zurigo. La mostra non ha né titolo né testo: si compone di quattro opere dislocate in due stanze. Per più ragioni, essa pare costituire una piccola antologia del lavoro di Marcuccio, una dichiarazione asciutta, così manifesta da divenire latente, delle principali traiettorie in cui si articola la sua produzione.

L’esposizione origina da una serie di nuovi lavori intitolati Maritime painting (2024), rappresentati da un nucleo di tre esemplari, due dei quali gemelli. Svolgendo uno dei principi che più profondamente connota la pratica di Marcuccio, l’identità mediale (e ontologica) di tali lavori risulta volutamente ambigua. Si tratta, infatti, di elementi in acciaio eseguiti alla maniera degli oblò ricavati lungo i fianchi delle imbarcazioni, delle navi o dei sottomarini, ora appesi a parete. Le proporzioni e la sintassi di questi moduli-boccaporti appaiono pittoriche. Il telaio, pitturato di giallo, diviene una cornice stondata che inquadra una superficie monocroma protetta da una lastra in plexiglass, l’una nera, le altre due blu, che la rende riflettente. Le flange, i bulloni e le cerniere che ornano questi oblò risultano curatissimi, benché fasulli.

Le modalità di esecuzione dei pezzi ricalca, almeno parzialmente, il modus operandi dell’artista: Marcuccio disegna le componenti strutturali di questi moduli che interpretano boccaporti, le quali poi vengono prodotte industrialmente e infine assemblate. Generalmente, cromie e formati appaiono determinati di fattori produttivi e logistici. Prima di vedere in quale misura, in questo caso specifico, l’iter progettuale non sia del tutto assecondato e perché, soprattutto, tale inflessione tecnica divenga decisiva rispetto alla sua pratica, è opportuno descrivere il quarto lavoro esposto.

Milano (2024), filmato diretto da Massimiliano Bomba, dura tredici minuti ed è privo di suono. Il fatto che venga trasmesso su uno schermo installato su un portatelevisore conferisce alla proiezione una dimensione più marcatamente ambientale, enfatizzata dal suo contenuto: il corto documenta gli interni dell’appartamento di Marcuccio, intessendone un resoconto placido, tra il letargico e la fase rem, cadenzato da fermoimmagine e lente carrellate laterali. Per il tramite del video, prima occasione, peraltro, in cui Marcuccio ha potuto misurarsi con l’immagine in movimento, lo spettatore-visitatore ha modo di affacciarsi su una realtà familiare e al contempo altra, sospesa per i ritmi lenti di ripresa, i cui fuochi paiono essere da un lato i movimenti della macchina, e così la relazione con chi esperisce le immagini, e dall’altro la configurazione di una narrazione intima, benché primariamente, ed è questo probabilmente il punto, formale.

In linea con lo storico dell’artista, l’esposizione sembra agire su due livelli interrelati, prossimi al cortocircuito. Un primo piano riflette il modo in cui Marcuccio pare assegnare all’esposizione — a questa esposizione e, presumibilmente, al campo “esposizione” in quanto strumento conoscitivo — un valore sostanziale nella creazione formale del lavoro. Nella biografia delle opere, il frangente espositivo sancisce sì, naturalmente, il loro divenire pubbliche, ma ancor prima ne orienta l’esistenza in quanto forme. Il che equivale a dire che ne definisce il profilo, il tono e i rapporti in una logica primariamente sistemica, più che di visione, destinata a farsi autoriale a posteriori e per riconoscibilità. Una definizione di massima, si potrebbe suggerire, la cui concreta manifestazione risulta stabilita in egual misura da cause industriali e/o casuali: la forma in qualità di accidente, ricercata con onestà, ma senza ossessioni.

Il secondo livello, invece, sembra afferire alla correlazione non lineare che si viene a creare tra i pezzi intesi come unità, ossia quali sistemi fittizi ma conchiusi, e gli stessi concepiti quale insieme coerente. In questo senso è possibile ipotizzare che i Maritime painting funzionino come attivatori di un ambiente che, non coincidendo con lo spazio fisico al quale si aggrappa, assurge ad ambientazione introflessa: un altrove rarefatto e insieme denso, la cui immaginazione deve essere negoziata da chi ne fa esperienza in sede espositiva. In questa negoziazione, forse, risiede la ragione scatenante del cortocircuito e della deviazione progettuale anzidetti. I Maritime painting sono in tutto e per tutto dei dipinti, come in effetti il titolo dichiara con chiarezza: essi rinnovano il gesto primo della pittura attraverso un sostanzioso strato di mani che Marcuccio ha passato per conferire uniformità e saturazione alla superficie. Una pittura che, tuttavia, non si fa finestra, come il gioco del boccaporto lascerebbe propendere, bensì limite, se non addirittura specchio anamorfico in cui viaggiare depressurizzati.

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Valentina Bartalesi