Agnes Questionmark “Nexaris Suite” Tenuta dello Scompiglio / Capannori di

di 8 Gennaio 2025

Nexaris è una macchina diagnostica, utilizzata in ambito medico. Nella versione “suite”, offre una combinazione di indagini che scandagliano il corpo umano come la superficie di un pianeta inesplorato, appropriandosi visivamente di ogni segno da cui rilevare eventuali patologie. È da questa immagine fortemente evocativa che Agnes Questionmark parte per la realizzazione di una nuova produzione presentata alla Tenuta dello Scompiglio di Vorno, in occasione di quella che si presenta come la sua prima personale in uno spazio espositivo in Italia.

“Nexaris Suite”, a cura di Angel Moya Garcia, è un viaggio attraverso i corpi che cercano una liberazione dallo sguardo dominante, incarnato in questo caso dai processi di medicalizzazione che ne mettono a nudo la vulnerabilità. Nella videoinstallazione a tre canali Opera medica (2024), l’artista con piglio ironico si prende gioco dei rituali attribuiti alla preparazione chirurgica. Due chirurghe transgender si apprestano a compiere un intervento di trapianto su una creatura dalle fattezze non ben definite; ogni gesto si carica di erotismo, dalla vestizione dei guanti e del camice al modo in cui brandiscono gli strumenti chirurgici, in un crescendo di tensione che vede l’apice nell’estrazione di un organo dalla forma ambigua. La situazione degenera fino a sfuggire di mano alle due protagoniste, sulle quali il paziente apparentemente inerme dà sfogo alla sua vendetta mettendole una contro l’altra. La narrazione si articola su tre schermi che corrispondono ad altrettanti punti di vista: osserviamo le due chirurghe al lavoro dalla prospettiva frontale ma anche da quella del tavolo operatorio, mentre una sonda esplora le cavità interne del corpo esamine.

Ricorrendo a un’estetica da b-movies che tiene insieme pulp, sci-fiction e horror, l’artista fa propria una narrazione cinematografica che torna sui temi da sempre oggetto della sua pratica e ricerca: la modificazione del corpo e le possibili forme di ibridazione cui è sottoposto in una prospettiva postumana. Manipolazione e mutazione divengono così due facce della stessa medaglia: se da una parte l’incessante ricerca di un perfetto stato di salute e il perseguimento di standard di bellezza fisica conducono alla presenza sempre più pressante di farmaci e trattamenti, dall’altra il corpo si modifica sotto queste pressioni, per raggiungere la forma desiderata e affermare un proprio modo di essere e di apparire.

La trasformazione del corpo descrive dunque il configurarsi di una nuova umanità, le cui fattezze sempre più si ibridano con forme biologiche e tecnologiche, rinunciando a ogni classificazione di genere ed enunciando possibili, attuali forme di resistenza. Questo nuovo corpo ibrido si materializza nell’opera Nexaris (2024), una figura monumentale che entra in simbiosi con la macchina che la sta esplorando. I suoi occhi, unico retaggio propriamente umano, sono forzatamente spalancati: un’immagine che da sola rievoca capisaldi cinematografici, dall’occhio tagliato de Un Chien Andalou (1929)  alla “cura Ludovico” di Arancia meccanica (1971). Da un involucro nero fuoriescono lunghi tentacoli, incarnazione di un immaginario sottomarino cui Agnes Questionmark è da sempre legata – si vedano le performance Transgenesis (2021) e CHM13hTERT (2023) – ma anche parziale trasposizione letteraria dei mostri ideati dalla mente di Howard Phillips Lovecraft.

Fondendo riferimenti che spaziano dal cinema alla letteratura, e passando inevitabilmente per i contributi di vari autori delle teorie legate a postumanesimo e transumanesimo, Questionmark rivendica una propria postura nella quale l’aspetto estetico è direttamente generato dai contenuti della sua ricerca. “Gli spazi interni del corpo biomedico sono zone centrali della contestazione tecno-scientifica” scriveva Donna Haraway immaginando l’interno del corpo umano come un grande campo di battaglia, e così l’artista ricuce una dialettica tra dentro e fuori, umano e non umano, per dar vita a un immaginario fortemente stratificato. Rispetto al lavoro precedente non è più il suo corpo a farsi voce della mutazione in atto; l’artista si trasforma qui da performer a personaggio cinematografico, da paziente a medico, da entità in trasformazione a soggetto controllore. Un passaggio che denota un’ulteriore riflessione sulla potenza dello sguardo e del punto di vista, costringendo anche chi assiste a interrogarsi sulla propria posizione: siamo qui vittime o carnefici nel processo che ci vede in costante evoluzione?

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Alessandra Troncone