Beatrice Favaretto “Multiple Maniacs” Mare Karina / Venezia di

di 24 Gennaio 2025

Mare Karina, al contempo galleria e studio di produzione, è approdata a Venezia qualche mese fa. Ubicata nel sestiere di Castello, la galleria-studio è immersa in un’atmosfera di luce rossa, propizia ad un’immaginazione fervida e ad un erotismo conciliato. Le grandi finestre sono state parzialmente oscurate. Dall’esterno non si vede più di tanto, ma si percepisce già molto. Il bagliore rosso, infatti, instaura una condizione di intima comunione, che si estende all’interno della mostra “Multiple Maniacs” di Beatrice Favaretto.

Varcando la soglia della galleria, ci si ritrova in un terreno di trasformazione corporea e si assiste al risultato della tenera intesa tra Beatrice Favaretto, l’artista, e Maximiliano Ulivieri, attivista per i diritti delle persone con disabilità. Il loro sodalizio è raccontato in tre video e in un testo introduttivo scritto dall’artista stessa, nel quale si legge: “Se si tocca una persona per più di quindici secondi, i corpi iniziano a scambiarsi informazioni”. Del resto, dall’affermarsi della cosiddetta Affect Theory negli anni Novanta, l’importanza della pelle come sede di forze precognitive e organo comunicativo ha condotto ad una riconsiderazione generale del corpo.

Tuttavia, di quale corpo si tratta? L’approccio universalista degli inizi dell’Affect Theory aprì presto la strada a una riflessione femminista nella quale il corpo (e con esso la pelle), diventa il depositario dei vissuti traumatici. La pelle ne risulta disomogenea: alcune zone custodiscono ricordi e altre si ritrovano “più sole”. Per Maximiliano Ulivieri, queste “parti solitarie” sono “parti del mio corpo riconducibili a quelle aree in cui la mia disabilità è messa ancora più in evidenza”1. Queste sono, in fondo, il soggetto (se non il filo conduttore) del video centrale di Beatrice Favaretto, “Multiple Maniacs”, presentato nella sala principale della mostra, tappezzata da spesse tende che trasformano le finestre in pareti ovattate. Nel video, Maximiliano Ulivieri è adagiato su un tavolo d’acciaio, completamente nudo e in una postura che a tratti richiama i dipinti classici. Una delle sue “parti solitarie”, la scapola sporgente sulla schiena, viene ripresa da vicino, quasi accarezzata dalla videocamera impugnata dall’artista. Beatrice non è tagliata fuori dall’inquadratura, ma appare a momenti, pressoché integralmente, mentre sorvola il corpo di Maximiliano avvolto da una surreale luce rossa. Lei stessa si ritrova distesa su quel tavolo, nelle stesse condizioni: nudità, fragilità, sottomissione alla videocamera, che funziona come una protesi affettiva. Qui, la macchina da presa è un prolungamento della pelle, nonché uno strumento di riconquista e politicizzazione del corpo e delle sue membra. Essa ridistribuisce le priorità dello sguardo ereditate dal movimento post-pornografico. Radicato in una teoria femminista e queer tesa a qualificare la rappresentazione sessuale al di fuori dell’industria del porno (subdolo, normativo e abilista), questo movimento è familiare a Beatrice Favaretto. In Miss Italia (2022), essa si rifà al lavoro dell’artista e sex-worker Annie Sprinkle, mentre The Pornographer (2021) costituisce un esperimento di post-porn DYI in collaborazione con la regista Emy Fem. In “Multiple Maniacs”, questa stessa post-pornografia si orienta verso la “carezza”, principio inclusivo capace di predisporre l’atto cinematografico. Si tratta, in altre parole, di un’intimità cooperativa che si palesa in immagini animate (interviste, documentari o ancora video sperimentali).

Intuibili sono dunque le poesie dal sapore cannibalistico recitate da una voce fuori campo. Proprio come il grottesco ha permesso a John Waters di “esorcizzare il cattolicesimo” attraverso il suo film “Multiple Maniacs”, il sottotesto del video di Favaretto esorcizza la normatività e l’oblio delle “parti solitarie”. Ho lasciato la galleria ponderando e abitando le mie. Una carezza stregata e amplificata.

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Julia Marchand