Edoardo Caimi “an hour, several weeks, few centuries” The Address / Brescia

24 Febbraio 2025

Ci troviamo in un rifugio dove tutto esiste in un tempo tutt’altro che definibile, in termini di sequenzialità e linerarità. Un tempo che appartiene al presente così come al passato, o addirittura al futuro. Un tempo che pare fuoriuscito rovistando tra la cenere di un paesaggio ormai irriconoscibile, dove nulla è illusione, ma dove, allo stesso tempo, si ha l’inquietante sensazione di essere prigionieri dentro un’immagine, oppure di muoversi in un sogno alieno. (Antoine Volodine, “Terminus Radioso”, 2016).

In questo rifugio si è presenze incerte, ospiti tollerati. Si ha la sensazione di essersi insinuati in uno spazio che non ci appartiene davvero, di essere sopportati nell’attesa silenziosa di un pretesto per essere messi al bando. Nell’aria vibrano i feedback acustici indesiderati di alcuni distorsori. Un’ora, alcune settimane, qualche secolo: sono temporalità che non possiamo attribuire a nessuno degli oggetti utilizzati da Edoardo Caimi (1989) nella sua produzione artistica e qui presentati, sia il nostro guardo su di essi proiettato a un tempo remoto, passato o futuro. Queste stratificazioni temporali hanno tra loro un elemento che le accomuna, ossia la funzione metamorfica del fuoco, elemento che ha influito sulla trasformazione delle strutture sociali dell’essere umano. Ad aprire la mostra è infatti Dream Burner (2024), una stufa composta da una pipa da cui fuoriescono alcuni fiori di papavero secchi, e Among Your Embers (2024), prima delle opere bidimensionali realizzate nell’ultimo anno di attività dell’artista, attraverso la bruciatura della carta giapponese su ferro – fuoco su fuoco – e dove si appoggiano alcune placche di alluminio brillante.

Il risultato di questo processo in cui la combustione della carta giapponese diventa un gesto di scrittura, dà forma a un alfabeto primitivo tracciato dal fuoco. Questa pratica richiama antiche forme di trasmissione orale e rituali ancestrali, suggerendo un legame con la terra che si manifesta in una dimensione quasi spirituale. Le bruciature, sembrano evocare frammenti di narrazioni arcaiche, reminiscenze di poemi oscuri che affiorano attraverso la materia stessa. In SunDog (cross 1) / (cross 2) / (cross 3) (2024),
installazione site-specific, sono posti in offerta alcuni mandarini carbonizzati; uno di essi sembra essersi alchemicamente trasformato in alluminio. I riferimenti di questo immaginario sembrano materializzarsi in alcune spie capaci di instaurare un paradigma indiziario, rivolto a forme di sapere altre, spie che in questo caso consentono di decifrare una realtà opacizzata dalla luce. Alcune immagini di luoghi lontani, impossibili da geolocalizzare, si presentano all’interno del progetto espositivo come in Under a pale sun (2025), che ci pone di fronte ad una realtà completamente distorta e in mutazione. Oppure nella fotografia riposta sotto al cuscino presente in Every night and every morn (2025): il ricordo di un luogo lontano, in una branda sorretta da forconi del lavoro agricolo.

Nel cuore di questa deriva acustica si trova Where are you, dear general? (2025), una sedia in ascolto di un segnale disperso nel tempo. Alcune foglie d’acero secche sono adagiate sulla sua superficie, vibrano appena, mosse da un’eco invisibile. Le onde radio emanate non sono una trasmissione chiara, ma piuttosto un suono irregolare composto da chitarre distorte e voci indecifrabili. Sembra un tuono che con i suoi echi ha attraversato incanalature oscure. È il rumore di un avanzare incerto, di un corpo che si fa strada tra una materia ostile. Ricorda il suono di qualcosa che insiste a esistere.

Testo di Arnold Braho

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