Claire Fontaine “Lotta” Galleria de’ Foscherari / Bologna

28 Marzo 2025

Galleria De Foscherari presenta la prima personale bolognese del collettivo femminista Claire Fontaine, a cura di Fabiola Naldi. “Lotta” è un progetto espositivo che invita alla riflessione sul concetto di vandalismo e sul suo significato nel contesto contemporaneo. L’installazione luminosa all’entrata della galleria dichiara il titolo come parte del progetto qui condiviso: “Lotta” riflette l’intento di esplorare le complesse intersezioni tra arte, valore e violenza simbolica collocando le più recenti ricerche di Claire Fontaine.

In particolare modo “Lotta” si sofferma sulla pratica del vandalismo, oltre il semplice atto di danneggiare. All’interno del progetto emerge un’importante domanda su come queste azioni possano evocare il danno e la rovina di valori spesso silenziati e legati alle attuali circostanze politiche. L’oggetto danneggiato viene qui proposto come simbolo di significato più profondo distante dalla più scontata riflessione del suo stato ideale di integrità e originalità. La pratica del vandalismo viene quindi affrontata come un plus valore e a tale riguardo gli stessi Claire Fontaine affermano: “tenendo conto del fatto che imbrattare una riproduzione (pensiamo a L .H.O.O.Q. di Marcel Duchamp) o un quadro tradizionale senza valore (come nel caso della pratica di Asger Jorn) non è visto come un gesto criminale o come un incitamento alla distruzione dlle opere d’arte nei musei, abbiamo “vandalizzato” le riproduzioni realizzate da pittori cinesi specializzati in
questo tipo di opere”.

A partire da questa pratica già affrontata per i tre capolavori di Éduard Manet Le déjeuner sur l’herbe, La grande odalisque e Olympia, utilizzate poi nella riproduzione fotografica su cartoline accompagnate dal tag #metoo proprio in riferimento al corpo femminile e allo sguardo della donna rappresentata dal pittore che, nonostante la loro nudità, fissano enigmaticamente lo spettatore, i Claire Fontaine vanno oltre. L’oggettificazione femminile dell’arte già ampiamente analizzata dal collettivo arriva in questa occasione a proporre il celebre quadro di Gustave Courbet L’origine du monde pronta a porre un’ulteriore riflessione non solo sulla pratica della distruzione apparente (seppur in versione riprodotta) ma anche sull’idea di “cura” e di “valore”, oltre la semplice questione economica. L’opera d’arte scelta a scapito di altre testimonianze come rappresentazione della sua preservazione simbolica, appare quasi sorda proprio attraverso questo privilegio e anche a tutte le “sofferenze” che la circondano. Umberto Eco scrive nel celebre saggio del 1962 L’opera aperta “Se in una casa in fiamme vi sono nostra madre e un quadro di Cézanne, salviamo prima nostra madre, senza per questo affermare che il quadro di Cézanne non sia un’opera d’arte. La situazione contingente non diventa parametro di giudizio, diventa discriminante di una scelta. È la situazione che denuncia appassionatamente Brecht quando afferma: “ Quali tempi sono questi, quando un dialogo sugli alberi è quasi un delitto, perché su troppe stragi comporta il silenzio!” Brecht non dice che parlare degli alberi sia male. Vibra anzi nei suoi versi una sorta di insopprimibile nostalgia per quella dimensione lirica da cui è attratto e che deve rifiutare.”

Saranno presenti in mostra altre due nuove opere rappresentanti un’ostrica e un uovo appartenenti al ciclo degli emoji e dei lavori sugli ANTI NFT e che sono qui testimoni di forme organiche associabili all’apparato riproduttivo femminile e si affermano anche come nuove agenti di potenzialità. Sono ancora i Claire Fontaine ad affermare: “Per amor di sintesi e per pudore, per esprimere le nostre emozioni nelle comunicazioni digitali, in assenza del linguaggio corporeo, preferiamo ricorrere a dei disegni prefabbricati (alla lettera ready-made, pronti all’uso): gli emoji. Abbiamo imparato ad appropriarci di queste metonimie di emozioni ready-made, senza autori noti, uguali per tutti ma singolari per ogni vita, esattamente come abbiamo fatto per il linguaggio. Le parole per dire noi stessi sono identiche per tutti e la ragione per cui le comprendiamo è proprio che appartengono a ciascuno, sono patrimonio comune e oggetto di scambio continuo tra chiunque condivida l’uso di una lingua”. Queste forme, vere e proprie testimonianze virtuali di un’indagine sulla transustanziazione della comunicazione visiva digitale diventano sculture luminose, ritratti iper contemporanei della relazione sociale pre fabbricata, modulata dallo scambio elettronico tramite dispositivi che diventano corpi iperreali ma privi di emotività tangibile.

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