“Claire Fontaine | Pasquarosa | Marinella Senatore”, La Fondazione / Roma di

di 8 Gennaio 2021

“We march proudly towards our revolution” intona una delle protagoniste di Sisterhood. The school of narrative dance (Sweden) (2020), il video virato sul rosso di Marinella Senatore che ci accoglie all’ingresso dello spazio.

All’interno di questa mostra convivono mondi diversi e indubbiamente lontani, per generazioni e storie personali, che si corrispondono in un comune sentire, in temi implicitamente condivisi, nella maniera di guardare la vita. Pier Paolo Pancotto celebra un anno de La Fondazione omaggiando lo sguardo femminile (non solo femminista!) attraverso le opere di due artiste, Pasquarosa e Marinella Senatore, e di un collettivo, Claire Fontaine, che hanno fatto della conquista della propria libertà un messaggio positivo e universale, al riparo da forme stanche di inutili e sviliti stereotipi. Sottesa è l’idea che Pasquarosa, attraverso la sua vita personale e la sua esperienza professionale, abbia anticipato idealmente temi che Claire Fontaine e Senatore trattano esplicitamente oggi.

Giunta a Roma per fare la modella, Pasquarosa si avvia poi alla pittura con Nino Bertoletti, che divenne suo marito, scegliendo di emanciparsi attraverso le sue doti e la sua arte mantenendo sempre la freschezza e la naturalezza che contraddistinguono i suoi primi lavori. Una protofemminista nei fatti.

Amata da De Chirico, da Pirandello, dalla Sarfatti, da Oppo, da De Libero, negli anni Venti è a Parigi, e nel 1929 ha una personale alla Arlington Gallery di Londra, in concomitanza con quella di De Chirico. Un raro documento storico, un film amatoriale presentato per la prima volta nella sua interezza, rende la quotidianità di alcuni dei protagonisti delle vicende culturali del nostro paese con cui Pasquarosa usava trascorrere il suo tempo: Nino Bertoletti, Massimo Bontempelli, Luigi Pirandello, Paola Masino.

La Quadriennale di Roma, cui tutte e tre le artiste hanno partecipato, sembra riunirle idealmente in uno spazio metastorico: Pasquarosa si presenta nel 1939 con due dipinti a soggetto floreale, apparentemente naif, realizzati invece da una pennellata concettuale, veloce, quasi “sbagliata” e consapevolmente disorganizzata. Un universo domestico che spiazza per la semplicità, solo apparente.

Nella scritta al led I say I (2020), che si rivela allo spettatore come un’apparizione dietro le travi del soffitto, Claire Fontaine trasla l’Io dico io di Carla Lonzi, in cui lo statuto della donna oggetto si abbandona alla soggettivizzazione. Questo lavoro dialoga con i brickbats, laterizi camuffati da libri, letteralmente macigni della critica militante: Sputiamo su Hegel: La donna clitoridea e la donna vaginale brickbat (2015), Taci, anzi parla brickbat (2015), La presenza dell’uomo nel femminismo brickbat (2015), Vogliamo tutto brickbat (2016). Nell’insegna Beauty is a ready-made (2020), Claire Fontaine ricorda che la scelta dell’oggetto da parte di Duchamp non è mai estetica, seppur di fatto dotata di un’aura. La bellezza non risiede dunque nelle convenzioni ma si esprime in un potere magico esercitato e leggibile solo in presenza di chi ha la capacità di decifrarla. Così come la bellezza di Pasquarosa si emancipa dai canoni patriarcali che marcano la sua epoca.

Allo stesso modo Marinella Senatore afferma il riscatto delle classi disagiate attraverso l’azione e l’arte. Molte delle opere presenti in mostra sono concepite espressamente per questa occasione come Untitled (2020), una scacchiera a pavimento che inaugura un nuovo ciclo di lavori. Senatore lavora da anni sulla componente partecipativa orchestrando gli equilibri e le dinamiche tra voce poetica e comunità corale.

Corpo, testo e opera: il Piccolo nudo (1913) di Pasquarosa diventa un corpo performativo in Can one lead good life in a bad life (2019) di Senatore.

Decolonialismo, femminismo, emancipazione, empawering, sono alla base di tre pratiche diverse ma indubbiamente dialoganti che condividono principi di democrazia, lotta alle disuguaglianze e alle asimmetrie.

Il femminismo assume i toni di un sapere incarnato, dove il corpo è strumento di comprensione e misura delle cose. La mostra è un’ode collettiva, come un’istallazione unica, ad alcuni temi fondamentali alla comprensione del contemporaneo.

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Marta Silvi