Pinacoteca di Brera tra arte, moda e innovazione: una conversazione con Chiara Rostagno

19 Marzo 2025

Cristiano Seganfreddo: Qual è oggi il ruolo di un’istituzione culturale come la Pinacoteca di Brera nella società contemporanea? Come si sta evolvendo rispetto al passato? Quali sono le forme di innovazione e di apertura al contemporaneo?

Chiara Rostagno: Oggi ai musei, giustamente, si chiede di essere ben più di una raccolta di opere. La storia della nostra Pinacoteca e la trasformazione che il suo corpo registra nel tempo sono una misura tangibile di come il ruolo dei musei sia cambiato nel corso degli ultimi due secoli. Ora i Musei sono un “servizio pubblico essenziale” e, al di là delle ragioni specifiche che hanno determinato questo riconoscimento e delle implicazioni normative conseguenti, io trovo che questa definizione riesca a tratteggiare un ritratto perfetto. Siamo “pubblici” e siamo “essenziali” ovvero necessari per il benessere delle persone, di tutte le persone. La definizione di Praga del 2022 si addice perfettamente alla Grande Brera e rinfranca questa visione che l’ha animata nel tempo come luogo di cultura, d’arte, di saperi scientifici, di storie e di natura. Il museo d’oggi compie ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio culturale. Non solo, i musei devono essere accessibili e inclusivi, e supportano attività precipue per promuovere la sostenibilità e il rispetto della diversità, senza vincoli di latitudini e tempo. Non a caso nella Grande Brera rientra anche il Museo dell’Arte Digitale, Diretto da Maria Paola Borgarino che è l’ospite che di fatto accoglie metaforicamente il visitatore nell’atrio d’ingresso di Palazzo Citterio.

CS: In che modo state ripensando il rapporto tra patrimonio storico-artistico e pubblico nell’era digitale?

CR: Per mia provenienza, io credo nella centralità della materia dell’opera d’arte e nel confronto insostituibile con il dato materiale. Perché di fatto è la materia dell’opera d’arte che ne trattiene i significati che emergono nella fruizione. Gli strumenti digitali sono strumenti oggi essenziali, non solo perché hanno un ruolo essenziale nelle nostre relazioni, anche umane, non solo artistiche; ma anche perché ci permettono di condurre il visitato ore lo spettro di ciò che è solo intravedibile e oltre ii limiti del tempo e della storia. Ci permettono di condurre il visitatore “per mano” e sperimentare forme differenti di relazione con il nostro patrimonio, con il lavoro che svolgiamo per la sua cura e studio. Credo che si debba lavorare a palinsesto. Alle letture, affianchiamo i podcast. Al fianco della mano del restauratore che opera a vista, esponiamo gli esiti della diagnostica per immagini. Alla visita dello storico dell’arte che con passione spiega le opere attorniato da piccoli appassionati d’arte, uniamo App intelligenti che raccontano i nostri capolavori attraverso l’intelligenza artificiale.

CS: Le istituzioni culturali italiane affrontano spesso sfide economiche. Quale modello di sostenibilità state sviluppando alla Pinacoteca di Brera?

CR: All’interno della grande Brera siamo tutti consapevoli del grande lavoro di orchestrazione compiuto dal nostro Direttore Generale. Siamo un organismo articolato e con una pluralità di esigenze quotidiane e anche di gradi sfide che stiamo affrontando. Sta nascendo in questi giorni Brera Sostenibile, un progetto di restituzione sociale di tutte le azioni che compiamo quotidianamente al museo per gli ambiti di responsabilità che ci definiscono: culturale, sociale e ambientale. Proprio ieri Crespi ci faceva riflettere sul fatto che, in questo particolare momento storico, molte società e imprese stiano riconfigurando il loro ruolo sul tema della sostenibilità ma noi, come musei, non potremo mai abdicare. Per noi questo è un irrinunciabile imperativo etico e un impegno culturale inderogabile. Sarà persino ancor più importante ora, in questa stagione del mondo, il lavoro che riusciremo a fare. Mi ha ricordato una bellissima riflessione di Rachel Carson. Chi ha imparato sin da piccolo ad amare la terra troverà dentro di sé delle «riserve di forza che dureranno quanto la sua stessa vita». Noi possiamo dare attraverso l’arte e la natura delle riserve di forza incredibili per il futuro.

CS: Come vedete il dialogo tra arte e impresa? Quali sono le opportunità e quali i limiti da rispettare?

CR: Il dialogo qui a Brera fra arte e impresa ha delle declinazioni differenti, seppure il fine ultimo sia quello di percorrere un percorso comune. Angelo Crespi ha posto tra i cardini del suo progetto il “Patto per Brera”. Un vero patto, nell’accezione del termine che rimanda all’etimo, ovvero che pone attenzione al pactum: che deriva da «patteggiare» e che, soprattutto, possiede la stessa radice di pax pacis «pace». Io credo di appartenere alla scuola di pensiero che non li ha mai visti opposti. Pur tuttavia occorre sempre prestare attenzione alla misura e alla distinzione dei ruoli. Del resto lo stesso John Ruskin è stato detto economista, perché nessun pensiero consapevole sul patrimonio e sul suo destino può svincolarsi da una considerazione altrettanto rigorosa degli aspetti sociali ed economici del nostro vivere. Per altro, poi, gli artisti hanno sempre dovuto “imprendere”, ovvero si sono sempre dovuti assumere l’onere di assumere, in proprio o all’interno della loro bottega, impegni, accordi economici, tempi di esecuzione da rispettare, progettualità e discepoli da formare e orientare. Quindi le opportunità di dialogo sono amplie. Risguardano certo il supporto economico, ma non solo. Vi sono vie anche per la condivisione di progettualità comuni su più fronti: i patrimoni di storia d’impresa, la ricerca tecnologica applicata alla cura del patrimonio e il sostegno alla creatività contemporanea. Dall’Art Bonus alla Sponsorizzazione: le vie sono molteplici e gli statuti chiari. Noi crediamo che esista una vera e fiorente “economia della bellezza” e che Brera la possa coltivare.

CS: In che modo state lavorando per rendere il patrimonio culturale più accessibile alle nuove generazioni?

CR: L’accessibilità è un tema bellissimo e il dialogo con le nuove generazioni è il segreto che ci permetterà di lasciare il nostro patrimonio nelle loro mani. In Brera abbiamo una solida tradizione. Al di là della nostra nascita, come “modesta raccolta” di opere ad uso degli allievi dell’Accademia, dal secondo dopoguerra le attività finalizzate a condividere il nostro patrimonio con le nuove generazioni sono state fortemente volute e arricchite da esperimenti anche poetici. Oggi tra gli storici dell’arte e gli esperti nel multiverso di discipline e professionalità che si legano ad una istituzione culturale e artistica come la nostre ci sono alcuni giovani che seguono in modo precipuo questa mediazione culturale, che ci aiutano a sperimentare nuovi linguaggi, nuovi alfabeti. Avere una lingua comune è il presupposto perché un dialogo possa essere possibile. Poi, ovviamente, la Grande Brera ha molti accenti. In alcune circostanze è naturale che sia più formale e aderente alla tradizione, in altre è giusto che possa essere più “libera”. Dando uno sguardo ai nostri canali di comunicazione, credo sia evidente: mutano i colori, le consuetudini, l’approccio e le modalità espressive. Eppure non si ha dubbio alcuno che sia sempre la Grande Brera.

CS: Come bilanciate l’esigenza di innovazione con la missione di conservazione e tutela del patrimonio?

CR: La conservazione del nostro patrimonio si “nutre” dell’innovazione. Nei nostri interventi di restauro la diagnostica avanzata e le acquisizioni tecnico-scientifiche all’avanguardia si coniugano con la riscoperta delle antiche tecniche legate alle arti. Quindi non sono termini contrapposti. Si tratta, semmai di mantenerli in equilibrio. I musei non sono mai stati immobili, e anche il nostra Pinacoteca, nel tempo, ha avuto vere e proprie trasfigurazioni attraverso l’intervento di molti autori e curatori. Eppure Brera è sempre rimasta Brera. Ed è giusto che rimanga, tale pur rinnovandosi. Il principio cardine che il nostro Angelo Crespi, il nostro Direttore Generale, ci ha chiesto di assumere come un riferimento costante è quello della cura. Avere cura delle opere, delle persone, dei valori che abbiamo il privilegio di conservare e di trasmettere, cura per le fragilità, cura per la natura, cura per le attese della società, cura per il valore economico e sociale che si lega a Brera. In questa visione la nostra vera missione è quella di perseguire assieme la conservazione e l’innovazione come due naturali attese di una società consapevole alla quale dobbiamo sempre guardare nel compiere il nostro lavoro.

CS: Parlando dell’iniziativa in corso, cosa rappresenta per la Pinacoteca l’ospitalità eccezionale concessa al brand Giada, con l’esposizione aperta al pubblico per tutto il weekend di fashion week nella Biblioteca Braidense?

CR: L’atto di ospitare ha per noi un valore culturale di capitale importanza e possiede molteplici significati. Dare spazio alla creatività contemporanea attiene alla nostra indole, sino dalla fondazione di quella che oggi noi chiamiamo “Grande Brera”. Arti, scienze, cultura, memorie qui sono sempre state vocate alla formazione dei giovani e alla trasmissione di valori. Esiste certamente una reciprocità fra il patrimonio e le creazioni dei nostri tempi. Il patrimonio, è costituito dall’eredità che abbiamo ricevuto da chi ci ha preceduti e che dobbiamo preservare e accrescere, per chi verrà dopo di noi. La creatività contemporanea contribuisce alla costruzione di una società consapevole dei propri valori e delle potenzialità artistiche e culturali. Patrimonio e creatività sono intimamente connessi. In questo caso il fiore iris è stato un filo conduttore. Centro della creatività della collezione, è stato tema di studio bibliografico per i ricercatori della Biblioteca Nazionale che hanno affiancato all’istallazione degli abiti, gli esiti si una ricerca bibliografia e iconografica straordinaria. Questo è il valore che ci attendiamo da iniziative come questa che abbiamo costruito con Giada ed è il senso dell’apertura dell’esposizione al pubblico della nostra Pinacoteca ha voluto renderlo manifesto. Del resto, anche in questo, Fernanda Wittgens ci ha anticipati con la sua sensibilità visionaria e la sua grandissima attenzione ai valori umani e sociali che l’hanno portata a ospitare la moda fra le opere della Pinacoteca.

Cerca altri articoli

SULLA MODA