Nei Chiostri di San Simpliciano, spazio intriso di stratificazioni temporali e valenze simboliche, Gucci presenta “Bamboo Encounters”, un’incursione curatoriale che trascende la mera celebrazione di un materiale iconico per la maison. Sotto la direzione di Ippolito Pestellini Laparelli e del suo studio 2050+, l’esposizione si configura come un dispositivo epistemologico capace di destabilizzare le narrazioni consolidate, proponendo una lettura del bambù che oscilla tra antropologia materiale e speculazione futurologica.
La scelta di Pestellini Laparelli come curatore non è casuale. La sua pratica, caratterizzata da un approccio nomadico tra architettura, museografia e ricerca socio-politica, diventa il vettore ideale per un progetto che ambisce a decostruire le gerarchie tra design, artigianato e arte contemporanea. Lo studio 2050+, il cui nome evoca già un posizionamento temporale ambiguo – simultaneamente ancorato nel presente e proiettato verso un futuro indeterminato – opera come un agente di complessificazione, interrogando il bambù non solo come materia prima, ma come significante culturale carico di implicazioni post-coloniali, ecologiche e produttive.
L’architettura concettuale dell’esposizione si articola attraverso sette interventi che funzionano come altrettante esplorazioni di quello che potremmo definire “spazio liminale del bambù” – la soglia dove materiale e immateriale, tradizione e innovazione, Oriente e Occidente si contaminano reciprocamente. Al centro dello spazio minore dei Chiostri, Pestellini Laparelli ha collocato un elemento architettonico ottagonale che diventa fulcro spaziale e simbolico dell’intera operazione: non semplice dispositivo espositivo, ma vero e proprio forum, agorà contemporanea che durante l’intera settimana del Salone si è trasformata in uno spazio di relazione, discussione e dialogo. Questa struttura ha ospitato un programma denso di incontri, dibattiti e conversazioni con protagonisti culturali italiani e internazionali, amplificando la dimensione discorsiva del progetto e sottolineando come l’esposizione non sia concepita come mera presentazione di oggetti, ma come catalizzatore di pensiero critico e scambio intellettuale.
Nathalie Du Pasquier, figura seminale del movimento Memphis, propone con PASSAVENTO una riflessione sulla porosità dei confini. Il paravento, oggetto-soglia per eccellenza, diventa metafora di un’identità frammentata e multiforme: la rigidità strutturale del bambù si contrappone dialetticamente alla fluidità della seta stampata, creando un contrappunto materiale che evoca le tensioni tra modernità e tradizione, tra serialità industriale e unicità artigianale. In questa operazione, Du Pasquier riattiva la memoria del gruppo Memphis, con la sua critica al funzionalismo modernista, applicandola a un contesto contemporaneo dominato dall’urgenza ecologica.
La scultura bronzea 1802251226 di Anton Alvarez rappresenta un paradosso ontologico: la fissazione in un materiale nobile e pesante come il bronzo della leggerezza e casualità formale del bambù. L’artista svedese-cileno, noto per i suoi esperimenti sulla processualità del design, opera qui un’inversione concettuale: non è più il materiale a determinare la forma, ma una forma ispirata a un materiale che viene tradotta in un altro materiale, generando un cortocircuito percettivo che interroga i fondamenti stessi della mimesi artistica nell’era dell’Antropocene.
Con Hybrid Exhalations, Dima Srouji dispiega una narrazione di resistenza culturale. L’ibridazione tra cestini in bambù e vetro soffiato da artigiani palestinesi della Cisgiordania trascende la dimensione formale per assumere valenze politiche: la fragilità del vetro diventa metafora della precarietà esistenziale di una cultura sotto assedio, mentre la struttura resiliente del bambù allude alla capacità di adattamento e sopravvivenza. L’opera di Srouji problematizza così la retorica occidentale sul craft come pratica decontestualizzata, reinserendola in una cornice di urgenza geopolitica.
Il collettivo Kite Club propone un intervento che dialoga direttamente con lo spazio architettonico dei Chiostri. Gli aquiloni sospesi attivano una dimensione performativa che trascende l’oggetto: il bambù, materiale strutturale tradizionalmente impiegato nella costruzione di aquiloni in diverse culture asiatiche, diventa qui veicolo di una poetica dell’elevazione e della leggerezza. La sospensione degli aquiloni nello spazio sacro dei Chiostri genera una tensione semantica tra ascesi spirituale e gioco, tra contemplazione e interazione.
Scaffolding di Laurids Gallée opera uno slittamento concettuale radicale: la reinterpretazione in resina blu delle impalcature tradizionali asiatiche in bambù sovverte le aspettative sull’autenticità materiale. La scelta della resina, materiale sintetico per eccellenza, per simulare una struttura organica colloca l’intervento in una zona di indeterminazione ontologica, sospesa tra simulacro e reinterpretazione, tra omaggio e appropriazione. Gallée interroga così i confini sempre più labili tra naturale e artificiale nell’era della riproducibilità tecnica estesa alla materialità stessa.
Sisan Lee, con la serie Engraved, esplora le possibilità di un neo-artigianato dove l’alluminio fuso incontra dettagli in bambù. L’operazione di Lee si inserisce in quella che potremmo definire un’archeologia del futuro: recuperando l’estetica coreana incentrata sul concetto di sottrazione, l’artista proietta tecniche tradizionali in uno scenario post-industriale. L’equilibrio tra imperfezione organica e precisione tecnologica che caratterizza “Engraved” diventa emblematico di un design contemporeaneo che cerca di riconciliare l’efficienza produttiva con la ricchezza semantica dell’errore e della variazione.
The Back Studio chiude idealmente il percorso espositivo con Bamboo Assemblage n.1, un’installazione che integra strutture in bambù con elementi luminosi al neon. L’accostamento tra la materialità organica del bambù e la luminosità artificiale del neon rappresenta un’allegoria della condizione contemporanea, sospesa tra nostalgia per un rapporto armonioso con la natura e fascinazione per le possibilità dell’innovazione tecnologica. La tensione irrisolta tra questi due poli genera uno spazio di ambiguità produttiva, dove il design diventa strumento di interrogazione più che di risoluzione.
La strategia curatoriale di Pestellini Laparelli e 2050+ trascende la logica espositiva tradizionale per configurarsi come un esperimento di ecologia speculativa. Il bambù diventa pretesto per una riflessione più ampia sulle interrelazioni tra sistemi culturali, economici e ambientali nell’era del capitalismo globalizzato. La scelta di una pluralità di prospettive e approcci – dal neo-primitivismo alla speculazione tecnologica, dall’artigianato tradizionale alla produzione digitale – riflette la complessità di un presente caratterizzato dalla coesistenza di temporalità diverse e spesso contraddittorie.
In questo senso, “Gucci | Bamboo Encounters” può essere letta come una decostruzione della narrativa lineare del progresso che ha dominato il design moderno. Il bambù, materiale antichissimo eppure perfettamente rispondente ai criteri contemporanei di sostenibilità, incarna questa compressione temporale: è simultaneamente arcaico e avveniristico, locale e globale, specifico e universale.
La struttura ottagonale progettata da Pestellini Laparelli al centro dei Chiostri traduce fisicamente questa prospettiva plurale e non-lineare. Attraverso una programmazione culturale che ha visto avvicendarsi teorici, designer, antropologi e artisti per tutta la durata del Fuorisalone, lo spazio è diventato una piattaforma di interrogazione collettiva sui temi della materialità, della sostenibilità e delle pratiche transdisciplinari. Questi incontri, lungi dall’essere semplici eventi collaterali, costituiscono una componente essenziale del progetto curatoriale, estendendo la riflessione sul bambù oltre la dimensione espositiva e attivando connessioni inedite tra saperi diversi. Il format dialogico adottato riflette un’epistemologia della complessità, dove la conoscenza emerge non come prodotto di un’autorità singola ma come processo relazionale e distribuito.
L’operazione di Gucci, in questa cornice interpretativa, rappresenta un paradigmatico superamento delle tradizionali logiche del luxury brand. Non si tratta più di una semplice strategia di valorizzazione del patrimonio culturale della maison, ma di un riposizionamento radicale che vede il brand fiorentino trasformarsi in una vera e propria piattaforma di produzione culturale. Celebrando il bambù – elemento profondamente iconico della propria identità – attraverso un dispositivo di ricerca speculativa, Gucci abbandona la postura autoreferenziale tipica del settore del lusso per assumere quella dell’agente culturale, capace di catalizzare riflessioni critiche, stimolare dibattiti intellettuali e promuovere interazioni transdisciplinari.
Questa operazione ad alta densità culturale segna un’evoluzione significativa nel rapporto tra moda e contemporaneità: non più semplice appropriazione o citazione di riferimenti artistici e culturali, ma attiva partecipazione alla produzione di discorso critico. Il brand si fa così promotore di una nuova ecologia relazionale che connette design, arte, antropologia e teoria critica, offrendo uno spazio di pensiero che trascende le logiche commerciali senza negarle. La scelta dei Chiostri di San Simpliciano come sede espositiva amplifica questa dimensione: il dialogo tra contemporaneità delle opere e storicità del contesto genera una frizione temporale che rispecchia le contraddizioni della condizione post-moderna, mentre sottolinea l’ambizione della maison di inserirsi in una genealogia culturale di lungo periodo.
“Gucci | Bamboo Encounters” si configura così come un’operazione meta-riflessiva che interroga non solo il significato contemporaneo del bambù, ma i fondamenti stessi della pratica curatoriale e della produzione di senso nell’economia dell’esperienza. In un panorama culturale dominato dall’accelerazione e dalla superficialità, la mostra propone una decelerazione contemplativa, invitando a una lettura stratificata dove materiale e concettuale, estetico e politico, locale e globale si intrecciano inestricabilmente.
Il bambù, nella visione di Pestellini Laparelli con 2050+ e dei sette designer coinvolti, diventa così emblema di un’ontologia relazionale che trascende le dicotomie occidentali tra natura e cultura, soggetto e oggetto, autentico e artificiale. È in questa capacità di abitare spazi interstiziali e di resistere alle categorizzazioni rigide che risiede, forse, il suo potenziale più dirompente come materiale del futuro: non tanto per le sue proprietà fisiche, quanto per la sua carica simbolica di resilienza, adattabilità e rigenerazione continua.