Alessandro Di Pietro “Long Story Short” zaza’ / Napoli

14 Luglio 2025

In occasione della mostra personale di Alessandro Di Pietro “Long Story Short” presso la sede di zaza’ a Napoli, Flash Art Italia propone il testo che accompagna il percorso espositivo.

Topolino era stato un vincitore. Non il tipo che combatte — solo il tipo che appare sulle lunchbox abbastanza a lungo da convincere i bambini che il mondo è sicuro, e che anche loro, un giorno, potranno sorridere per sempre.
Ma qualcosa era cambiato. Si svegliò nel 2011 con un rumore nelle orecchie — come il caos della borsa che urla sott’acqua — e capì: il gioco era finito tre anni prima. Nel 2008. La festa era crollata, la roulette si era fermata, e solo i croupier continuavano a essere pagati. Tutti gli altri erano
rimasti con il conto e una manciata di metafore scadute.
Pippo si nascondeva in un cassonetto dietro Tomorrowland, disegnando grafici con la senape su cartone. “Il capitalismo si è rotto, Mick,” disse. “Ha finito il futuro.”
Topolino prese un volo per New York. Niente prima classe. Nessun applauso. Solo un cartone che sbiadiva ai bordi. Arrivò a Zuccotti Park come un pellegrino con l’amnesia. Vagò tra tende e slogan, invisibile alle telecamere, ma inconfondibile per i ragazzi nati negli anni ’90 — quelli che avevano imparato troppo presto che il debito non era solo finanziario, ma anche emotivo.
Lo tirarono nel cerchio.
“Eri la nostra promessa,” disse uno di loro, tenendo un cartello con scritto CHIEDI PER IL DOMANI.
“Lo ero,” ammise Topolino. “E ora sono la ricevuta.”
Di notte raccontava storie alla luce della torcia: come i sogni fossero stati ipotecati, come vincere fosse diventato patologico — solo un’altra maschera per perdere più lentamente. La folla piangeva, applaudiva e gli porgeva una felpa nera con cappuccio. Lui la indossava come un sacco di tela. Si sentiva quasi reale. Poi arrivò la repressione. Sirene, elicotteri, una voce meccanica che annunciava l’evacuazione come se fosse un guasto a una giostra Disney.
Topolino scappò. Non perché avesse paura, ma perché sapeva che lo spettacolo era finito. Aveva scommesso sul
futuro — e aveva perso. L’Italia era rimasta incollata come una gomma vecchia sotto la scarpa dell’UE.
Topolino arrivò a Napoli con un treno lento, riflettendo sulla frase *la crisi*, che suonava così elegante, così operistica, rispetto a *recessione*. La città gli andava a pennello: grandezza bruciata, fede nella superstizione, la silenziosa consapevolezza che nulla di fissato sarebbe rimasto fisso.
Vagava. Dormiva in cinema abbandonati. Ascoltava ragazzi in scooter gridare profezie in dialetto.
Fu allora che sentì parlare dell’affresco: San Francesco che divora loghi aziendali — Google, McDonald’s, Visa — con gli occhi che piangono sangue dentro una ciotola di bilanci per azionisti. Un uomo napoletano di nome Dodo gli si avvicinò fuori da una chiesa.
“Vuoi un senso?” chiese Dodo. “Prendilo.”
Entrarono prima dell’alba. La chiesa odorava di ruggine e mito. L’affresco brillava sulla parete di fondo come un’ultima verità. Ma quando Topolino lo toccò, il pavimento
cedette. Cadde. Nelle catacombe, tra ossa più vecchie della bancarotta, Topolino giaceva stordito. Una ombra si mosse.
Un altro topo. Più vecchio, trasandato, con occhi come brace accesa.
“Vesuvio,” disse la creatura. “Ti stavo aspettando”.
Topolino sbatté le palpebre. “Me?”
“Per la fne. Sei solo il segno.”
Vesuvio accese una candela fatta di vecchia cera e futuri bruciati. “Siamo cresciuti pensando che avremmo vinto. Poi abbiamo capito che il gioco era truccato, e peggio — dovevamo vincere, una volta. Ma se hai giocato la tua carta e tutto ciò che hai ottenuto è stata l’esistenza… e adesso?”
Topolino non rispose. Il suo abito era strappato. I guanti, anneriti. Ma si sentiva più leggero.
“Scommettiamo su ciò che resta,” disse Vesuvio.
“Scommettiamo sui topi, sulle rovine, sui bambini nati dopo il crollo. Scommettiamo radicalmente, perché non c’è altra via.”
I due topi si sedettero insieme nel silenzio umido. Sopra di loro, la città tossiva nel mattino.
E da qualche parte nelle fogne, qualcosa di nuovo iniziò a muoversi.

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