“The Good Company” IUNO / Roma di

di 9 Luglio 2025

In occasione della mostra collettiva “The Good Company” negli spazi di IUNO a Roma, Flash Art Italia propone il testo curatoriale di Giulia Gaibisso che accompagna il percorso espositivo.
La mostra, inaugurata a giugno, ospita i lavori di Jacopo Belloni, Paolo Bufalini, Giulia Crivellaro, Giuseppe Di Liberto, Davide La Montagna, Andrea Martinucci, Margherita Morgantin, Beatrice Tabacchi.

“The Good Company” è la prima mostra collettiva ospitata da IUNO, ma è anche la prima a prevedere l’utilizzo della maggioranza delle stanze che compongono l’appartamento.
Il progetto si propone di analizzare i significati e le possibili declinazioni riferibili al concetto di compagnia, a partire dalle idee di assenza, presenza, memoria e rispecchiamento.
Nelle opere presentate, diffuse nello spazio domestico, la dimensione relazionale si esplicita tramite l’attribuzione di caratteristiche vitali alla materia, il ricorso al dono o alla pratica del rituale, la rievocazione di un ricordo così come la costruzione di identità alternative. Modalità e linguaggi, questi, che sembrano adottati al fine di colmare i vuoti, azzerare le distanze, ridurre al minimo le distinzioni.
Ogni lavoro si configura come il tentativo di porsi in contatto con un’alterità a cui ci si affida ed entro cui ci si riconosce, nonostante persista un grado di irriducibilità nelle distanze. Le memorie si cristallizzano, gli oggetti si vivificano, le attese si dilatano. L’immaterialità delle relazioni, la loro componente effimera ed evanescente, assume un corpo, una forma concreta.
In questo senso il titolo della mostra rimanda alla volontà di approfondire i meccanismi posti alla base della socialità umana, ma allo stesso tempo considera le opere come residui di memorie, speranze, proiezioni, emancipandole dalla propria matrice meramente oggettuale e sottolineandone le qualità vitalistiche.
A rielaborare vissuti più o meno reali sono le due tele di Andrea Martinucci così come il grande lavoro di Paolo Bufalini.
In Era scritto così e Tu ridevi io fumavo (2021), la visione dell’oleandro custodito nel cortile dello studio di Martinucci, si mescola, sovrapponendosi, a quella di oggetti o elementi anatomici come guanti o mani, che rimandano alla dimensione tattile evocata sin dal titolo della serie, Carezze. Nelle opere Portrait of the sister
as a sleeper I
(2024) e Portrait of the mother as a sleeper II, invece, le memorie di Bufalini, già mediate fotograficamente attraverso l’album di famiglia, vengono ulteriormente plasmate dall’intervento di un’intelligenza artificiale generativa, che ricostruisce un passato sospeso tra il verosimile e l’onirico, di fatto mai vissuto.
In una sorta di sovrapposizione spazio-temporale si situa poi l’installazione realizzata da Beatrice Tabacchi, composta da Separation Piece e Summer Passage (2025): scatti, miniature dipinte e materiali organici, tracce che traslano, entro la camera da letto dell’appartamento e nel salone, il suo universo pittorico e autobiografico, e che connettono paesaggi, affetti, storie differenti.
Istanze simultaneamente personali e collettive sono espresse da Giulia Crivellaro in A General State of Loneliness (2019), video che ripropone le visualizzazioni e i suoni prodotti dall’artista durante la preparazione di un pasto, ma che al tempo stesso trasforma quest’ultimo in un rituale che, pur conservando un carattere comunitario, viene di fatto svolto da singole individualità, monadi separate dallo schermo di un laptop.
A più specifiche modalità di condivisione si ispira Birichino (2023), l’installazione fitomorfa di Jacopo Belloni che, ricalcando l’estetica propria della tradizione sartoriale teatrale, riflette sul meccanismo memetico, inteso come fenomeno che permette la propagazione di elementi culturali tramite processi di imitazione, ed esplicita in maniera inequivocabile la tendenza del tutto umana a replicare forme naturali, vegetali e animali.
In una direzione diversa, che interpella la dimensione dell’assenza e dell’attesa, procedono i lavori di Davide La Montagna e di Margherita Morgantin: il primo, con una versione aggiornata di Milk for the Fairies (2020), suggerisce la probabile incursione nello spazio espositivo di creature fatate, esseri fantastici invocati per la loro abilità di materializzare desideri e aspettative; la seconda affidando ai fenomeni atmosferici l’attivazione e la trasformazione del proprio Anemoscopio (2025), foriera anch’essa di speranza e simbolo, per mezzo dei tessuti di cui è composta, di resistenza.
A punteggiare lo spazio e concludere idealmente la mostra sono le opere di Giuseppe Di Liberto, intitolate Quando una stella muore, omaggio alla notte o Morte a Venezia (2025). Ispirate alle luci che baluginano nell’acqua della città lagunare e modellate sulle forme delle torce monumentali del cimitero di San Michele, queste piccole fiaccole corrispondono a un punto di approdo e di riferimento all’interno della mostra: luci inestinguibili, che tracciano la via collegando passato, presente e futuro.

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