Oltre la porta scorrevole del PAC, uno skyline che interpreto come assemblaggio di screenshot di frammenti di chat Instagram. Nei peggiori test di attitudine la mente riconosce per vissuto e affinità le prime tre parole tra infinite possibilità. Leggo: our pistols to bed. Le nostre pistole a letto. Mi sembra azzeccato.
Da un megafono un flâneur recita a gran voce La recherche de la fécalité1 di Antonin Artaud e smetto di pensare alla mia situazione sentimentale, nonostante tutto intorno a me lo renda complicato; il posto giusto al momento sbagliato. Decido di soccombere al peso dei miei pensieri davanti all’opera To Breathe in Always Even Though It Kills (2006), dove due megafoni di un nero lucidissimo sono uniti nella zona di uscita del suono e dai cui manici pendono due cinturini in pelle a cui ammanettarsi per non dirsi poi assolutamente nulla, dicendosi così tutto. Come in una qualunque conversazione di una qualunque coppia alla deriva.
Mi spingo al largo con quest’ultima spiando dal buco della serratura, che in questo caso è uno squarcio in una barriera che sembra essere stata forzata da un gruppo di ragazzini. Mi sento come durante le prime incursioni in luoghi abbandonati. Oltrepassando prego che non resti impigliato un pezzo di stoffa nella rete metallica e che non mi si ferisca una gamba; tetano e vestiti strappati, una combinazione che a mia madre non farebbe piacere. You Must Not Want to See Everything (2012) e lei nemmeno.
Una volta dentro, un’imposizione di cilindri metallici in filo spinato veicola musica elettronica, circostanza pericolosa per gli amanti del “sotto cassa”. Il sentimento è ora quello di trovarsi a un rave, le parole riecheggianti, al di sopra delle tracce, un discorso da sei del mattino: “la verità è figlia del tempo e non dell’autorità”. Ho bisogno di un paio di occhiali da sole.
Passando per la Sala 5, la scritta a neon In Darkness There Is No Sin/ Light Only Brings the Fear (2025) mi rinfaccia la codardia dell’aver indossato lenti scure con il sorgere del giorno.
L’after è al chiuso, Death Disko: Last Dance (2015). Osservando la scena arriva una eco di Disco Bloodbath2… mi sento come Micheal Alig di fronte al corpo senza vita di Angel; la luce è accesa e accecante, le piastrelle demolite e la palla stroboscopica sul soffitto un’eclissi solare. L’omonima traccia di Donna Summer è ossessivamente in loop ma la pista è vuota. L’unica resistenza è un gruppo sulla destra (dalla serie After Roxy; 1998/2015), stretto nell’abbraccio di chi si scambia regolarmente carezze d’ecstasy nell’illusione di potersi definire famiglia. Non vi anticipo come finisce il libro di James St. James.
Fuori dalla discoteca un disfattista sincero ha scritto sul muro che “Love does not exist, only the possibility of love”, citando Rainer Weiner Fassbinder e concretizzando il mio pensiero. Vorrei si fosse dimenticato il marker così da poter sottoscrivere.
Salgo le scale in punta di piedi perché il rumore dei tacchi sul legno risuona nella galleria vuota come l’ennesima richiesta di amore. Come se non fosse già abbastanza umiliante di per sé, l’ultima opera vista ha come titolo Walk in Silence (2007). Da bastian contrario quale sono, in un’atmosfera affetta dalla malattia dell’estraneità alle regole ufficiali, voglio ubbidire agli slogan. Voglio ubbidire alla pubblicità!
Lungo la balconata una sfilata di billboards pubblicitari dal titolo Drift (2012) esaudisce il mio desiderio. Mi sottometto a luci e ombre di paesaggi a metà tra Europa e Stati Uniti, nelle orecchie canzoni minate dalle parole non dette nell’impossibilità di comunicazione reiterata sala dopo sala, tra tutte: “Doesn’t mean that much to me to mean that much to you” da Old Man di Neil Young.
Mi giro a osservare ciò che mi sto lasciando alle spalle, una mostra che è un passo a due magistralmente eseguito, volteggiando tra sale da ballo dove inciampare l’uno nell’altra, e stanze buie dove dimenticarsi di come ci si vergogna.
Abbasso finalmente gli occhiali da sole. L’ultimo sguardo lo rivolgo a una trapunta sotto cui mi immagino Lovett e Codagnone abbiano fatto l’amore un’infinità di volte, uniti nel segno dell’anarchia. È l’unico angolo morbido in un percorso di transenne nelle costole e schegge di vetro nelle piante dei piedi.
I Only Want You to Love Me
and not bring your pistol to bed never again.





