“Glen Luchford. Atlas” 10·Corso·Como / Milano di

di 13 Ottobre 2025

C’è una luce che non appartiene al tempo, ma alla memoria. È quella che attraversa l’opera di Glen Luchford, fotografo inglese che ha trasformato l’immaginario della moda in un dispositivo narrativo, più vicino al cinema che all’editoria. Atlas, la sua prima personale a 10·Corso·Como, a cura di Alessio de’Navasques, è un viaggio nel flusso visivo di trent’anni di immagini che hanno riscritto il linguaggio del desiderio, della bellezza, dell’identità.

Luchford appartiene a quella generazione che ha visto nel punk e nel futurismo non una estetica, ma una posizione esistenziale. Le sue fotografie non raccontano la moda: la sospendono, la mettono in crisi, la trasformano in una scena mentale. Ogni scatto è una soglia — un prima e un dopo che si confondono nella stessa inquadratura. Da Kate Moss in bianco e nero per Harper’s Bazaar alle campagne di Prada degli anni Novanta, fino al sodalizio con Alessandro Michele per Gucci, Luchford costruisce un lessico dove l’emozione diventa architettura della visione.

C’è una tensione cinematografica che attraversa tutto — Kubrick, Tarkovskij, Lynch — ma senza citazione. È piuttosto un modo di guardare: la profondità come vertigine, la luce come corpo narrante. Ogni immagine di Atlas sembra provenire da un film che non esiste, da un archivio del futuro. Attaccate semplicemente alle pareti, le fotografie non cercano cornici né ordine cronologico: scorrono come un pensiero, come il sogno di un’altra epoca che non si è mai conclusa.

Luchford fotografa l’istante prima che accada qualcosa — e in quell’attimo sospeso si annida il suo mistero. La moda è solo il pretesto, il veicolo, la superficie. Dietro c’è la riflessione sulla rappresentazione, sulla finzione, sul desiderio di autenticità che attraversa ogni epoca. “Sono sempre stato attratto dal Futurismo e dall’idea di movimento”, dice. In effetti, nelle sue immagini tutto si muove anche quando nulla accade: un vento, un gesto, un dubbio.

Con Atlas, 10·Corso·Como conferma la sua nuova identità come spazio di riflessione sulla cultura visiva contemporanea. La mostra diventa così un manifesto: la fotografia non è più medium, ma linguaggio di transito tra arte, moda e memoria collettiva.

Glen Luchford continua a fotografare l’impossibile: ciò che non si può vedere ma si può soltanto ricordare.

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Cristiano Seganfreddo