Entità perturbanti, soggettività trasversali. Figure non radicate, le cui deformazioni testimoniano una liberazione dalla realtà materiale. Organismi apparentemente vulnerabili sprigionano una tensione amorfa, una condizione primordiale, eterna. Una danza silenziosa che alterna violenza e fragilità, un processo metamorfico di evasione fisica e mentale.
Ivana Bašić opera secondo un linguaggio plastico eterogeneo, le sostanze raggiungono i propri limiti, tentano di emanciparsi dalle loro stesse forme a tal punto da configurare una nuova materialità. Elementi fragili come cera, silicone, vetro soffiato e pittura a olio convivono con la violenza intrinseca del metallo, assumendo connotazioni inedite. La pietra sembra carne, il vetro evoca il respiro, la cera muta in marmo, l’acciaio inossidabile – immobile e imperturbabile di fronte allo scorrere del tempo – diviene osso che trafigge e sorregge corpi precari. Un’antitesi che traduce la ferita inferta dal collasso della Jugoslavia – paese originario dell’artista – in una consapevolezza traumatica, un dolore e una tensione alla dissoluzione non intesa come perdita ma momento di potenziale radicale.
Una presenza chimerica sospesa tra figura umana e connotazioni entomologiche, corpo centrale dell’impianto espositivo di “Fantasy vanishes in flesh”, mostra personale di Ivana Bašić presso galleria Francesca Minini a Milano. I had seen the centuries, and the vast dry lands; I had reached the nothing and the nothing was living and moist (2018 – 2025) evoca i tratti distintivi di una mantide religiosa – mantis, dal greco antico oracolo, profeta – suggerendo una condizione altra, trascendente. In particolare, Bašić è interessata al mondo degli insetti come entità primordiali, testimoni millenari di un mondo pre-umano. Il volto proiettato verso il basso, quattro arti apparentemente instabili protesi a terra mentre un nucleo dalle tonalità ambrate emerge dal busto. La scultura raffigura un soggetto simbiotico, una presenza in costante divenire attraverso l’intreccio interspecie. Configurazioni condivise, una serie di processi trasversali e relazionali volti all’alterità invitano a una riflessione sul corpo e sulla natura della forma, intesa come trappola e allo stesso tempo liberazione dal regno materiale. Chimere contemporanee secondo cui plasmare una nuova teratologia.
La figura ibrida si staglia di fronte a un paesaggio apparentemente desertico, nebuloso, da cui sembra scaturire una tempesta di sabbia. Thousand years ago 10 seconds of breath were 40 grams of dust#3 (2024) – opera video di natura digitale – dialoga con le particelle di polvere sparse sul terreno che abitano lo spazio. La polvere è un elemento ricorrente nella ricerca artistica di Bašić e allude a quel processo di lenta riduzione in cui ogni essere vivente è immerso, il ciclo della vita e la conseguente liberazione dal mondo materico. Un impulso vitale che nasce con e fa ritorno alla polvere, composto di tutto e allo stesso tempo sostanza che contiene tutto. Unità della creazione, attraversa ciascuna forma di vita e cancella ciascun rapporto gerarchico rendendo visibile ciò che è invisibile. Una sostanza sconosciuta che da forma a un soggetto alieno, un’estrusione della potenzialità in divenire del corpo di un essere umano. In stretto dialogo con la scultura, uova trasparenti giacciono a terra, Hypostasis (2024), corpi vitrei appena deposti dall’intreccio tra macchina e insetto contenenti il respiro dell’artista. Questo – il termine pneuma è etimologicamente legato allo spirito – è tradizionalmente simbolo di vita e di connessione con la fonte divina e nelle opere di Bašić si traduce in vetro soffiato. Il respiro è inteso come parte essenziale di un processo riduttivo che culmina nella polvere, uno slancio immateriale che una volta catturato fissa nel tempo un istante.
Grembi materni ultraterreni, figure immortalate in pose impossibili, crisalidi si dischiudono rivelando pietre dai toni alabastrini. Liquidi amniotici e nuclei viscerali affiorano silenziosamente in superficie manifestando la loro presenza organica attraverso un impulso che intreccia occultamento e rivelazione. Vivono una condizione liminale tra vita e morte, testano i confini della propria plasticità suggerendo abbreviazioni fenotipiche, segni lasciati lungo il cammino tracciato da quel processo metamorfico che restituisce la fragilità della condizione umana. Le sculture sono sospese, non toccano il suolo, sorrette da aste in acciaio, protesi o sistemi di ancoraggio a muro. Un movimento ascensionale abita una dimensione precaria, mutevole e culmina nell’ultima sala espositiva con The Temptation of Being #3 (2024). Un corpo intento a generare se stesso premendo il capo contro i propri lombi mentre una pietra di alabastro emerge dalla spina dorsale della figura, evocando immagini di vita cellulare. Un moto generativo che alterna processi di creazione e dissoluzione, attraverso cui Bašić invita a ripensare il corpo come risultato dell’intreccio costante di elementi socioculturali e secondo cui indaga la transitorietà ontologica delle soggettività contemporanee decostruendo il concetto di identità.





