A vent’anni dalla sua nascita la Mountain School of Art resta un progetto difficile da narrare in modo lineare. Per raccontarla, ho scelto un approccio plurale, oltre Piero Golia, co–fondatore e anima incarnata della MSA, ho coinvolto tre ex allievi italiani di annate diverse — Lorenzo Silvestri, Alessandro Di Lorenzo e Giorgia Garzilli — così da restituire un racconto plurale e informale, coerente con lo spirito con cui la MSA è sempre stata abitata.
Irene Angenica: Bene, adesso che siamo tutte possiamo finalmente iniziare, ho preparato una scaletta di domande per facilitare la conversazione, ma mi piacerebbe che si svolgesse senza troppi schemi, in modo libero e informale.
Piero Golia: L’inizio è sempre la parte più difficile, poi dovrebbe diventare tutto più semplice. Invece è una bugia, dopo vent’anni tutto è ancora più complicato. Forse non sono gli inizi a essere complicati, è la vita.
IA: Allora ti vengo incontro con una domanda, com’è cambiata la MSA in questi vent’anni e cosa è rimasto sempre uguale.
Piero Golia: Forse sarebbe meglio cominciare con una breve storia della MSA. La Mountain School of Art nacque nel 2005 in una stanza nel retro di un bar di Chinatown. Il bar si chiamava The Mountain, il nome viene da lì. Originariamente era tre giorni a settimana per tre mesi, si andava il pomeriggio e si stava fino a sera tardi.
Quando poi il bar chiuse, invece di limitarci a cercare di replicare quell’esperienza, abbiamo iniziato a cercare soluzioni più adatte a ciò che avevamo osservato.
Bisogna sempre evolvere, e risolvere problemi è un modo perfetto di evolversi.
Quindi passammo a un modello più compatto, condensato in due settimane e mezzo, dove sia chi viene da fuori sia chi abita già qua può avere la stessa esperienza. In questo nuovo modello gli studenti abitano insieme in una grande casa dove si svolgono le lezioni. Ovviamente cambiando le premesse cambiano anche quello che ne segue. Per cui a quel punto abbiamo continuato a rompere la struttura classica in cui uno parla e gli altri ascoltano, cercando di rendere tutto più spontaneo. Ovviamente se si invita un musicista gli si chiede di suonare invece di parlare e così un po’ per tutti, cercando di creare il più possibile un’esperienza collettiva reale. Successivamente si aggiunse anche il minivan, che ha dato la possibilità di muoversi tutti insieme per andare a visitare artisti, ecc. I viaggi nel minivan sono diventati una parte importantissima di MSA.
Giorgia Garzilli: Io ero presente all’edizione dei 15 anni della MSA, e nonostante la fortuna di aver partecipato, per colpa della pandemia ho dovuto anticipare il rientro di qualche giorno. Nel 2020 alcuni incontri erano nella casa dove abitavamo noi “cittadini europei”, e quindi siamo andati raramente a casa degli artisti o delle altre persone invitate.
A me in realtà la cosa che mi attirava molto della MSA era questo alone di mistero, il fatto che non si sapeva quasi nulla prima di arrivare. È bello non sapere cosa aspettarsi.
Hai questa forte intuizione che sarà un’esperienza intensa, sei contenta di andare a LA, però non conosci i dettagli. La scelta di non condividere l’intero programma è dal mio punto di vista fondamentale per non perdere quell’effetto sorpresa.
IA: Quindi, senza togliere questo effetto sorpresa alle prossime partecipanti della scuola, voi come la descrivereste?
Alessandro Di Lorenzo: Anch’io credo nell’effetto sorpresa prima della partenza, prenoti un biglietto per l’altra parte del mondo senza sapere neanche dove dormirai e poi appena arrivi e tutto si materializza davanti a te con estrema chiarezza. Alla fine quello che si percepisce, e che si può raccontare per far capire cosa succede, è la sensazione che si è visto lo spettro totale di quello che è la scena artistica e culturale di LA.
Te ne vai con mille possibilità e mille idee e un entusiasmo che nessun’altra esperienza personalmente mi ha dato. Una scuola abbastanza unica.
Lorenzo Silvestri: Sì, il mistero è stata una delle parti più belle in generale; non sapere nulla è forse anche una sfida per la nostra generazione. Siamo abituati ad avere delle aspettative su tutto, disabituati all’effetto sorpresa. Era bello non dover sempre pensare a cosa succederà domani. Funziona che ti svegli e accade di tutto senza aver ela minima idea prima… non so gli altri, ma a me queste cose piacciono.
PG: Questa cosa del “mistero” mi fa sempre ridere – tutto dipende dai punti di vista – perché io questo alone di mistero non l’ho mai visto. In questo nuovo mondo dove internet uccide le aspettative, noi cerchiamo di conservare un po’ di magia. Sì, io credo ancora che sia necessario vivere le esperienze e a volte il prezzo che paghi per la realtà è il fatto che non ti arriva tutto il programma in anticipo. Anche perché se già sai tutto, che ci vieni a fare?
Non ci sono standard, tutto viene improvvisato rispetto alle possibilità, ad esempio Giorgia è stata sfortunata, perché il suo anno non trovai chi donava una bella casa per cui dovetti affittare io un bnb a Koreatown sotto la rampa della freeway (però era un posto storico degli anni Novanta perché era la casa dove viveva Catherine Opie), rispetto ad Alessandro e Lorenzo che invece avevano anche la piscina.
ADL: Il mio alloggio è stato speciale, era dove hanno girato Il Padrino, è stato incredibile.
GG: Los Angeles Experience!
ADL: Però mi sono beccato la stanzetta più piccola perché mi sono permesso di dire che in una stanza non volevo stare perché era dove avevano girato la scena della testa del cavallo. Quindi visto che mi lamentavo di un posto così incredibile, mi sono preso la più piccola, ma meglio così perché mi ricordo che la ragazza che dormiva in quella stanza ha iniziato ad avere dei sogni strani. Era un luogo abbastanza intenso.
LS: Beh anche la nostra casa era super. Io non ero mai stato in una casa così grande nella mia vita, pure con la piscina.
IA: Ma quindi, scusate se tocco di nuovo questo punto controverso del mistero. Questo ‘effetto sorpresa’ è qualcosa che rientra nella metodologia educativa stessa della scuola o è una necessità fisiologica? Perché quando fai una mostra le opere dove le metti stanno, mentre quando lavori con un gruppo di persone…
PG: Secondo me è un misto. Lavoro come un somaro, mi sveglio ogni mattina alle 4:30 e lavoro fino a che riesco a tenere gli occhi aperti la notte. Ho fatto delle scelte nella vita che ho pagato personalmente e una di queste è che non ho il tempo per spiegare tutto a tutti se voglio riuscire a fare tutto. Per cui probabilmente è una delle mie mancanze, per alcune cose sono un po’ incapace, altre cose invece le do per assunto. Nel senso che se ti dico di venire a Los Angeles è ovvio che ti ospito io. Quindi alcune informazioni si perdono perché nel mio modo di operare non c’è bisogno di dettagliare ogni cosa.
Ma è anche vero che quando prometti “domani verrà Michael Jackson”, che succede se Michael poi non viene? Che tristezza sarà quella giornata dove Alessandro si era vestito elegante per Michael Jackson e lui non è mai arrivato. E ultimo ma non ultimo, c’è da considerare il fatto che non creando aspettative dai la possibilità agli ospiti di introdursi da soli, di scegliere quello che vogliono condividere con gli studenti.
GG: Quindi forse ‘mistero’ non è nemmeno la parola giusta, ma magari è la volontà di voler mantenere lo stesso approccio dell’inizio e non diventare come altri programmi educativi che sono un po’ tutti uguali.
IA: Piero, è così? Senti che comunque un’anima della scuola è rimasta invariata in questi anni?
PG: Me ne andai dall’Italia alla fine degli anni Novanta, quando esistevano solo sei canali standard della televisione, con i film alle 20:30 e alle 22:30. Arrivai a New York e, solo anni dopo, trasferendomi a Los Angeles, riuscii finalmente a permettermi la TV via cavo. Diciamo che in questo lasso di tempo qualcosa è cambiato ed io non mi sono mai riuscito ad adeguare. Insomma io non guardo più la TV perché non so come si fa. E probabilmente la Mountain School viene proprio dalla mia incapacità di imparare. Quindi tante cose non cambieranno mai perché sfortunatamente sono io incapace.
Sono scelte che si devono fare nella vita. Ad esempio, l’inglese l’avrei potuto imparare meglio, probabilmente se fossi andato a scuola, ma questo mi avrebbe tolto del tempo per fare altro che magari è stato più importante.
Quello che oggettivamente non è mai cambiato è questa mia inabilità col denaro e la burocrazia. In vent’anni di MSA sono stato in grado di portare Dan Graham, Pierre Huyghe, Jeff Wall, ma non sono stato capace di fare una no-profit o di avere un sito internet decente. Uno studente una volta mi chiese se mi avessero hackerato il sito. Io risposi: «No, in realtà quello è proprio il sito, così com’è».
Insomma, la risposta finale è: quello che non è mai cambiato è l’idea di mettere insieme persone straordinarie.
E poi tutto il resto può cambiare, no? Basta che lo fai stare in piedi.
IG: E come le selezioni? Perché tra i tanti hai scelto Lorenzo, Giorgia e Alessandro, ad esempio?
PG: Forse bisognerebbe procedere al contrario e capire come mai loro abbiano applicato. Se io vedessi quel sito scapperei. Diciamo che già questa è una prima selezione.
Poi ci si muove un po’ d’istinto, cercando quelle persone che, anche se va male e resti bloccato in ascensore con loro, quando esci sei comunque felice.
È come generare un microcosmo, una piccola società dove si ragiona e si rispettano certi ideali. Se facessimo proselitismo diventerebbe un culto. Se invece la gente ci arriva per diaspora rimane un’isola felice.
IA: E voi perché avete applicato?
GG: io e Piero siamo entrambi di Napoli e lo conoscevo come artista perché da giovanissima lavoravo come assistente nella galleria che lo rappresenta e avevo sentito parlare della MSA quindi ho deciso di provare ad applicare.
Ti fanno tre domande apparentemente molto semplici, ma proprio per questo ti mettono in crisi.
PG: A parte come ti chiami, dove abiti e qual è il numero di telefono, ci sono tre domande:
Chi sei?
Come come hai saputo della MSA?
Cosa ti aspetti?
GG: Esatto. “Chi sei?” è la più difficile. Perché si, lo sai chi sei, ma forse neanche troppo in fondo e quindi doverlo scrivere ti mette in difficoltà.
PG: Qui siamo tutti italiani a chiacchierare, ma normalmente cerchiamo di contenere il numero degli italiani, non più di uno l’anno o diventa una catastrofe. Niente contro gli italiani, ma tenere gli equilibri è fondamentale, e per farlo è necessario valutare le differenze culturali. Per Giorgia è difficile celebrare le sue stesse glorie, mentre gli studenti che vengono da una scuola d’arte americana sono addestrati a dire quanto sono bravi e perché dovresti scegliere loro invece del loro vicino. Quindi quando leggi le application devi fare attenzione a bilanciare questi fattori.
IA: Lorenzo e Alessandro volete rispondere anche voi sul perché avete applicato?
ADL: Il sito mi ha convinto! Scherzo, anche se davvero il sito mi piace.
PG: Allora devi andare dall’oculista.
ADL: Una cosa molto interessante è quella di trovare forse una delle poche candidature – di questo tipo di programmi– in cui non è richiesto un portfolio, questa idea di applicare senza mettere davanti il proprio lavoro mi attirava, perché da la possibilità di presentare la versione più reale di te, al di là della tua ricerca.
PG: Per costruire un gruppo dinamico, non vogliamo persone tutte uguali, ma persone che funzionano insieme. C’è bisogno di — sembra brutto dirlo — ‘diversità’. È importante creare diversità in un gruppo, non solo geograficamente, ma anche nei modi di essere, nei modi di pensare.
IA: E tu Lorenzo come sei arrivato alla MSA?
LS: Io un pochino conoscevo il lavoro di Piero e in più me ne aveva parlato Alessandro come una cosa incredibile. Siccome ho un terribile rapporto con la scuola in generale, quando avevo visto il sito, ho pensato facesse al caso mio.
IA: Siamo arrivati quasi alla fine della nostra intervista e vorrei ancora chiedere se volete voi tre fare una domanda a Piero e se Piero vuole fare una domanda a voi.
PG: Forse è meglio che a fare le domande siano loro che sono giovani, poi io chiudo con un finale scenografico.
GG: Secondo te la MSA durerà per tutta la tua vita?
PG: E me lo chiedi quando mia moglie è incinta, il mercato dell’arte è crollato e c’è un presidente fascista?! Comunque ogni anno sarebbe il momento giusto, ci ho pensato tante volte, ho anche cercato di sabotare MSA. Un anno non avevo nemmeno messo il PDF per le candidature sul sito, ma così, dal nulla, sono iniziate ad arrivare. Non so come avessero fatto — forse avevano trovato quelle degli anni precedenti su Google. E che puoi farci? Anche se personalmente non volessi farlo, se gli studenti applicano, diventa un dovere, per cui finché gli studenti ci sono, è nostro dovere continuare. Insomma, il problema non è farlo o non farlo, ma farlo nel miglior modo possibile.
ADL: Sì, questa voleva essere la mia domanda. Mi ricordo ne parlavamo quando sono tornato quest’estate per la festa dei vent’anni della MSA, mi dicevi che avevi intenzione di modificare qualche piccolo aspetto e mi chiedevo se li avessi individuati.
PG: Quello che pensavo è che questo traguardo dei vent’anni è stato un po’ come la festa di laurea di MSA, quindi l’anno prossimo dovrebbe essere il viaggio di laurea o qualcosa del genere. Insomma, qualcosa di diverso dal solito. Però dipende tutto da come vanno le cose. Forse dovrei cercarmi un lavoro vero, come dice mia mamma, invece di cercare di cambiare il mondo. Comunque vedremo, questo è il vantaggio di improvvisare, c’è sempre tempo per cambiare idea.
Siamo alla chiusura e forse è il momento di valutare se abbiamo speso bene i nostri soldi.
GG: Io non ho pagato nulla, ma avrei pagato con piacere.
PG: I tuoi soldi non ce li saremmo presi. Il denaro è un po’ come il colera. Appena lo tocchi ti macchia e non ti puoi più lavare le mani. Per fare le cose bene è necessario perderci. È come aprire un ristorante, per dare da mangiare alla gente bene, ti costa un sacco di soldi e non funziona economicamente. E così siamo un po’ noi. Non funzioniamo economicamente, ma cerchiamo di dare da mangiare a tutti.
IA: Piero ci dai un ultimo consiglio per chi vorrà applicare alla MSA?
PG: Se vuoi entrare a MSA, inventati qualcosa che nessun altro sa fare. Come suonare il violino per un attore, no? Sono quelle le cose extra che a volte ti fanno avere la parte al provino, quello forse è il segreto.
Ovviamente sto scherzando.
















