“Gatti e Sigari” Archivio Salvo / Torino di

di 1 Dicembre 2025

Il tempo di un sigaro.
Quando il tempo è euforico.
Il tempo del vizio è un guizzo fuggevole di senso.
Il tempo dell’euforia è un attimo nel quale sentiamo sentirci.

Da Rivoli, dirigendosi verso il centro di Torino, si avanza come dentro una nube-mongolfiera che con i suoi fitti vapori, nascondendo il profilo della città e le sue strade, obbliga a un modo diverso di guardare. Questo velo mi fa pensare ai camini sempre accesi di Siena: i loro odori, i loro fumi che imprimono nel cielo labirinti di sospiri tesi verso le mura della città.
Quella specie di scarto che si prova quando un luogo sembra già aver iniziato a dirci qualcosa prima ancora di arrivarci. Ho infatti la sensazione di essere in ritardo quando entro nell’ex galleria Norma Mangione, ora sede dell’Archivio Salvo.

(Ostinato
ad amarla
non arrivava mai a tempo1.)

Una volta dentro vedo le ombre sospese di tanti piccoli quadri e sento il borbottare di due figure: Maccari e Salvo. Non ci sono davvero, eppure qui ogni piccolo oggetto sembra sussurrare un loro dialogo, come una pièce recitata sottovoce.

Un sigaro appena fumato si attarda nell’aria, e tra l’odore intenso e il chiacchiericcio intorno, mi pare di intuire la loro complicità: una risata trattenuta, un’occhiata beffarda, uno scambio di battute silenziose.
Leggo che uno dei due artisti, Mino Maccari, nasce a Siena, poco lontano da me. Cerco subito online qualche informazione in più: dove abitava, che università ha frequentato. Poi i dati biografici hanno la peggio e decido di dedicarmi alla ricerca di un sigaro, o almeno, di qualcosa che mi rassicuri.

La vignetta del fumo che esce dal camino insieme alla sagoma di un gatto sono in effetti le poche rappresentazioni che riesco a riprodurre: un mezzo ovale come busto, due mezzi ovali all’interno come zampe, un cerchio come testa e due triangoli come orecchie. Questo continua a rassicurarmi.

Nonostante i sentimenti nostalgici e personalissimi di questa serata, il mio sguardo riesce a placarsi e a trovare una sorta di pace in mostra. La prima cosa a cui penso è: finalmente un po’ di ironia e leggerezza. Mi vedo-vista, come il Bacco2 del Caravaggio si sente toccato nel momento in cui offre il bicchiere di vino al suo spettatore, un gesto di auto affezione che Marleau-Ponty teorizza nel rapporto in cui il soggetto si sente sentire, o si vede visto, cioè la consapevolezza immediata che la coscienza ha di sé quando vive un’esperienza affezionata.

Immagino l’incontro tra Mino Maccari e Salvo davanti un tavolino da fumo, con un sigaro in una mano e un bicchiere di vino rosso nell’altra, sulla soglia di un’osteria tra i vicoli bui di Siena. Due uomini adulti ironici e sagaci che tra un sorso e un tiro di sigaro, osservano ogni borghese troppo serio in cerca di un gesto non convenzionale, di un errore, di uno scivolamento, che possa diventare poi oggetto della loro ironia.
“Gatti e Sigari” curata da Luca Lo Pinto è infatti una mostra a sostegno di un linguaggio di liberazione, di un contro-senso che entrambi gli artisti usano per provocare mirabilia, cercando di farli balzare nell’ambiguità e di renderli inafferrabili. Un linguaggio che non afferma ma si avvita su sé stesso, aprendo fessure indicibili, dove piuttosto che dire si preferisce non dire.

I disegni di Maccari, concisi e lapidari, lasciano balenare un guizzo di sragione, e più che all’estetica random-chic si avvicinano a velocissime greguerías che tra l’esserci e lo sparire, si accavallano e si intrecciano, per coincidere in un fuggevole sprazzo di senso.

La seconda cosa a cui penso: il tempo di un sigaro. Allora lo cerco e mi sorprende una buona dose di angoscia, perché di fronte a un dialogo senza voce ma così pieno di tono, non posso non pensare all’incontro mancato di questi due artisti. L’angoscia come contraccolpo all’euforia. Il tempo di un vizio che è sempre troppo veloce, come le cose belle, quelle che vibrano di sincera umanità.

Disegni come Ci sei riuscita a vedermi vecchio!, e E rimase con un pugno di moschee non a caso parlano di un tempo che ha già percorso uno spazio e di uno spazio che ha già depositato del tempo. Sembrano suggerire una temporalità fallimentare che “sempre racconta solo ciò che dimentica”, come incide Vincenzo Agnetti negli stessi anni.

Si è, insomma, già fatto tardi.

La mostra prende la forma di un sodalizio anacronistico dove ogni linea è un segno talmente veloce che nell’istante in cui si osserva è già svanito. Come Untitled (1970-70) di Alessio – nome di un artista inesistente creato da Alighiero Boetti e Salvo – un giocattolo composto da una faccia-pupazzo con le ruote, un esempio di mirabilia, un’enciclopedia della meraviglia: una proto-letteratura del fantastico presentata come se fosse reale.

I personaggi sono ritratti in cornici da salotto di casa, come quelli di Norma e Luca. Sia Mino Maccari che Salvo, negli anni Ottanta ritraggono i più piccoli della famiglia con due ritratti ciascuno: Norma (1980), Norma a 22 giorni (1977) e Luca (1983); (1984) e poi Musetta (1996), la gatta che Salvo ritrae più volte insieme al micio di via Verdi (1973), questa somiglianza d’intenti nella quotidiana scansione del tempo apre un luogo della mente dove si è certi di poter trovare i due artisti in mostra, distanziati l’uno dall’altro ma sempre nello stesso ritmo delle cose.

Da “Gatti e Sigari” i lavori di piccole dimensioni divengono sipari da aprire per guardare meglio dentro, con quel breve rischio di scottarci che accompagna ogni gesto euforico: Tira sul prezzo, acquista senza paura!

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Chiara Belardi