Petrit Halilaj “Abetare” Radis / Dogliani di

di 9 Dicembre 2025

Tiepidi raggi del sole illuminano le file di vigneti e noccioleti che scandiscono in maniera regolare il territorio di Dogliani nella provincia di Cuneo. In questa domenica di ottobre tale paesaggio coltivato è abitato solo dalle poche figure che, sfidando l’aria fredda della mattina, si dedicano a una corsa leggera o una tranquilla passeggiata a cavallo.
Continuando a salire, la strada assolata si inizia a restringere. Così la catena collinare inizia a prendere la tipica forma che definisce le langhe piemontesi, una lingua sottile di terra che ospita il piccolo nucleo di edifici chiamato Borgata Valdibà, meta di questo viaggio.

Superato un primo gruppo di abitazioni, iniziamo a intravedere la facciata di una modesta chiesa affiancata da una canonica, sua compagna solidale all’interno di questo paesaggio verdeggiante e solitario.
Come anziane sorelle, questi due edifici si tengono compagnia, continuando a sorreggersi nell’abitudine degli anni trascorsi assieme. Fino a pochi mesi fa abitava al loro fianco anche un terzo edificio, la vecchia scuola di borgata che ha ospitato molteplici classi e generazioni di bambini, poi abbandonata negli anni Settanta e adesso smantellata per la sua instabilità strutturale.

Rimane al suo posto un piccolo campo di erba curata, in parte scaldato dai raggi del sole ora più luminosi, in parte accarezzato dall’ombra della canonica, sulle cui mura esterne rimangono i segni non celati della recente demolizione.
All’interno di questo campo prende forma il profilo irregolare di una casa stilizzata, realizzata attraverso tubolari metallici che, con morbidi disegni, sviluppano l’immaginazione grafica dei bambini in una scultura in tre dimensioni. Un monumento non monumentale, quasi trasparente, che invita lo sguardo ad attraversarlo e a mettere a fuoco la vallata e il paesaggio delle langhe attraverso la sua cornice ferrosa.

Il profilo di questo edificio, disegnato in origine da uno dei bambini della borgata, è ripreso dall’artista Petrit Halilaj per continuare la sua serie Abetare (2015-in corso).
Abetare è il nome dell’abecedario utilizzato per insegnare l’alfabeto in lingua albanese, ora titolo della collezione di disegni trovati su vecchi banchi di scuola che l’artista da dieci anni raccoglie, archivia e traduce in opere non più solo grafiche ma anche scultoree.

Per questa occasione la casa disegnata nella Borgata Valdibà diventa uno spazio dove ospitare altri segni immaginati sia dai bambini delle langhe che dei Balcani. Così, appoggiate sulle solide fondamenta metalliche, figure animali, fitomorfe e antropomorfe si uniscono a segni grafici: gatti riposano sulle finestre squadrate mentre un sole sorridente si affaccia per salutarci dal tetto curvilineo. Al loro fianco un cuore stilizzato fuoriesce dal camino insieme al fumo della legna che, bruciando, scalda un interno che possiamo solo immaginare.

Se un abecedario è pensato per dare una forma condivisibile al suono e alla grafia dell’alfabeto, così Abetare di Halilaj guarda ai disegni spontanei dei bambini come un lessico condiviso, nato dal desiderio di abitare un luogo lasciando una traccia del proprio passaggio.

La scuola è l’ambiente dove i bambini ricevono una educazione strutturata al pensiero logico, razionale. I disegni sui banchi sono invece una traccia spontanea che interrompe questa educazione per dare spazio a un’altra necessità: la pratica dell’immaginazione visiva che, attraverso il disegno, dà forma all’immateriale, alla vita interiore dei bambini.
Come già Herbert Read scriveva, l’educazione visiva e artistica permette di allenare il proprio desiderio di immaginare il mondo e, di conseguenza, l’istinto all’incontro e della relazione1. Così i disegni di ferro di Halilaj tracciano nel cielo e sul paesaggio circostante un’idea sintetica della scuola come luogo dell’immaginazione, dove imparare a concepire l’alterità. «Perché, in fondo, come hanno affermato le grandi menti scientifiche, e come tutti i bambini e le bambine sanno, è soprattutto grazie all’immaginazione che acquisiamo percezione, compassione e speranza», ricordava Ursula K. Le Guin2.

Questo monumento è ora aperto a nuovi usi. In una giornata di nebbia, la foschia diafana diventa un perfetto foglio bianco sui cui le forme metalliche della scultura tornano segni bidimensionali. In una giornata luminosa invece, contro il blu del cielo limpido, le forme sinuose del ferro tracciano i loro profili con più definizione. La patina scura e opaca del metallo si scalda nei colpi di luce del sole di mezzogiorno, mentre nuovi abitanti trovano altri usi per i suoi spazi. A fianco degli animali disegnati, un gruppo di bambini e bambine colgono l’occasione di arrampicarsi nei suoi ambienti vuoti, trovando subito casa all’interno di questo edificio solo immaginato.

Come la scuola di cui è memento si è trasformata negli anni, nelle stagioni e con le abitudini di chi l’ha abitata, così Abetare è tenuta sempre in movimento dal paesaggio e da chi la incontra.
Se quindi intendiamo la scuola come luogo dove l’immaginazione può prendere forma, così la forma della scultura di Halilaj lascia al suo interno spazio al pensiero di chi, andando a Dogliani, la abiterà di nuovo, almeno con lo sguardo.

Altri articoli di

Davide Daninos