Helena Kontova: Christian Dior, Cate Blanchett, Miuccia Prada, Natalie Portman, Larry Gagosian, il Guggenheim: è una citazione di Bret Easton Ellis? Cosa succede quando American Psycho incontra Pirandello?
Francesco Vezzoli: Se Pirandello fosse vivo oggi forse American Psycho lo scriverebbe lui…
HK: Come mentalità sei più vicino ai personaggi di American Psycho o alle complicazioni esistenziali pirandelliane?
FV: Parafrasando Flaubert, mi verrebbe da dire “la Signora Ponza sono io…”. Spesso mi viene chiesto riguardo al mio lavoro se personalmente mi pongo più in modo critico o dialettico rispetto alla “celebrity culture” e io vorrei rispondere proprio come l’eroina pirandelliana “io sono colei che mi si crede”. Battute a parte, penso che il mondo del glamour ma anche il dibattito artistico soffrano di una forte schizofrenia. Io cerco solo di rispecchiarla nel modo più fedele possibile.
HK: A partire da Caligula, trailer di un film mai realizzato, la comunicazione è diventata il mezzo prediletto dei tuoi “giochi mediatici”. Vedi Democrazy e Così è (se vi pare), la performance che hai da poco presentato al Guggenheim. Tra il pubblico, come partecipanti, assieme ad altri, Uma Thurman e Brooke Shields, il tutto accompagnato da una raffinata pubblicità che strizza l’occhio all’Art Nouveau. È sempre Vezzoli il marketing manager del “Francesco Vezzoli Show”?
FV: Per il pilot del reality che non sarebbe mai stato trasmesso ci siamo rivolti a una vera e propria casa di produzione televisiva romana. Per il trailer del film che non sarebbe mai esistito ho contattato una casa di produzione a Hollywood. Per organizzare una campagna elettorale per candidati inesistenti mi sono rivolto ai consulenti di Clinton e Bush a Washington. Per la prima di uno spettacolo teatrale che non sarebbe mai esistito ho chiesto aiuto a un produttore di sfilate ed eventi di New York. Ogni volta, il “Ghost Marketing Manager dell’effimero” cambia, ma spero che il prodotto rimanga sempre surreale.
HK: Nel 1917, in occasione della prima di Così è (se vi pare) all’Olympia di Milano, Pirandello scrive alla sorella: “è stato veramente un grande successo, non dico per gli applausi, ma per lo sconcerto, l’intontimento, l’esasperazione e lo sgomento diabolicamente cagionati al pubblico. Quanto ci ho goduto!”. Lo hai scritto tu o Pirandello?
FV: Ho scelto proprio questa frase per introdurre il progetto sul programma di scena della serata. L’ha scritto Pirandello ma avrei potuto scriverlo io. Soprattutto quando, durante la pièce, guardavo nei monitor della cabina di regia le facce degli spettatori…
HK: Otto anni dopo la prima, Pirandello presentò Così è (se vi pare) cambiando praticamente tutte le battute. Se tu dovessi riproporre di nuovo il tuo lavoro, cosa cambieresti?
FV: Non lo riproporrei mai come performance live, sarebbe impossibile ricreare lo stesso effetto di straniamento nel pubblico, e anche negli attori.
HK: Svelami il vero motivo per cui Cate Blanchett o Natalie Portman partecipano a una performance live di Francesco Vezzoli al Guggenheim. Per la tua capacità di seduzione o per l’originalità del progetto? E come avvicini questi personaggi spesso irraggiungibili? Quali armi usi?
FV: Li contatto nei modi più disparati. Come ho già avuto modo di spiegare cerco di convincerli scrivendo loro lettere di sincera ammirazione e mando loro solo eccessivi mazzi di fiori. Nessuno ci crede, ma io davvero non so dire perché accettino. Forse sono abituati a ricevere costantemente lo stesso tipo di proposte lavorative e quindi provare qualcosa di diverso, anche solo per un giorno, può sembrare loro un’opportunità stimolante. Ma è solo una mia ipotesi...
HK: Da Veruschka a Natalie Portman: cosa è cambiato nel tuo modo di vedere le celebrities?
FV: Chiedo alle celebrities di partecipare ai miei lavori perché ritengo che la loro presenza sia indispensabile per raccontare il mio modo di vedere la realtà. Il mio modo di rapportarmi a loro in questi anni non è cambiato.
HK: Dalla celebrità sulla via del tramonto alla star giovane più desiderata e più hot di Hollywood. Pensi che questi personaggi siano i modelli del nostro tempo?
FV: Più che dei modelli direi che sono un riflesso del nostro tempo. Le celebrities sono in grado di creare isteria, curiosità morbosa e desiderio di emulazione anche nelle persone apparentemente più intellettualmente sicure di sé. Ci tengo a ribadire il mio essere sinceramente grato agli attori che accettano di stare al mio gioco; senza la loro complicità creare il cortocircuito che tanto mi diverte sarebbe stato davvero impossibile.
HK: Con il lavoro al Guggenheim hai realizzato una mega performance live, una sorta di fatica di Ercole, io credo. Con questo impegno come è cambiata la percezione del tuo lavoro?
FV: All’inizio mi davano del reazionario e del nostalgico, adesso mi definiscono un “bad boy”. Mi sembra già un bel progresso.
HK: Ti piacerebbe se Paris Hilton partecipasse a uno dei tuoi prossimi spettacoli? Ad esempio a un balletto?
FV: Sinceramente non so in che modo potrei utilizzare Paris Hilton. Mi sembra che lei non abbia nessun bisogno di me, la sua vita è già una vera opera d’arte.
HK: Per costruire un lavoro parti da un autore o da un attore? O da un’idea, una sensazione, un input che ricevi casualmente?
FV: Cerco sempre di far confluire la mia rabbia o il mio fastidio verso alcuni aspetti della realtà all’interno dei miei progetti. È questo che fa scattare in me il desiderio.
HK: Come decidi il cast? Da solo o ti avvali di amici e collaboratori?
FV: Molto prima che vengano realizzati mi piace molto raccontare i miei progetti e le eventuali scelte di cast alle persone più disparate e testare le loro reazioni. Penso che un’ampia parte dei miei ultimi lavori consista proprio nel testare l’audience nei modi più diversi. Mi interessa molto l’interattività con il pubblico e mi piacerebbe approfondire ulteriormente questo aspetto in futuro.
HK: Alcune delle persone fra il pubblico fanno parte dell’opera: le scelte sono strategiche oppure interviene anche la casualità?
FV: La definirei una casualità strategica, cioè io invito tutte le persone che sogno possano partecipare e poi spero che il sogno si avveri… A volte può anche diventare un incubo però.
HK: La scelta dell’opera di Pirandello, che era la base della tua performance al Guggenheim, è un richiamo allo scambio dei ruoli: l’autore, gli attori, il pubblico. Come ti posizioni fra questi ruoli? In quale veste ti trovi più a tuo agio?
FV: Non mi considero un regista né teatrale né tantomeno cinematografico. Non so nemmeno da che parte si cominci a leggere una sceneggiatura o a costruire uno storyboard. Mi piace pensarmi come un produttore impazzito e megalomane, che costruisce progetti apparentemente e completamente fine a se stessi.
HK: Qual è il reality show che preferisci?
FV: Cambio moglie, ma la versione italiana non quella americana (Wife Swap).
HK: Riesci a rendere le celebrities anche controverse e patetiche. Ti è mai capitato che qualcuna si sia opposta alla messa in circolazione del tuo lavoro?
FV: Un attore americano che ha partecipato a Trailer for A Remake of Gore Vidal’s Caligula ha inizialmente acconsentito all’esposizione del lavoro alla Biennale di Venezia per poi in seguito chiedere, attraverso i suoi avvocati, di essere tagliato.
HK: Come hai convinto Sharon Stone a partecipare a Democrazy? E dalla tua esperienza, che rapporto hanno secondo te le star con l’arte contemporanea?
FV: Fortunatamente Sharon Stone ha trovato la sfida divertente fin dall’inizio. Il vero problema, specialmente nel caso delle star hollywoodiane, è rapportarsi con gli agenti e i pubblicisti, che non sempre capiscono la natura dei miei progetti. Penso che negli ultimi anni Hollywood guardi all’arte contemporanea con un interesse maggiore, ma la strada è ancora molto lunga. Il giorno in cui saranno gli attori a insistere per partecipare a un mio lavoro, e non viceversa, forse sarò proprio io a cercare altrove.