“I Won’t Change The World” è la frase composta da Alessandro Nassiri Tabibzadeh con venti magliette bianche, ognuna stampata con una lettera, stese durante la scorsa Biennale di Venezia tra i panni colorati di una via che collega l’Arsenale ai Giardini. Un intervento che, se da un lato non manifesta immediatamente la propria paternità né la propria valenza artistica, di sicuro, una volta che vi ci si imbatte, non passa inosservato. La stessa cosa si potrebbe dire di tutti i lavori di Alessandro Nassiri Tabibzadeh: piccoli interventi nascosti nella città, quasi delle intromissioni, che, partendo dalla constatazione di una situazione problematica o semplicemente sfruttando una condizione esistente, avviano un processo che cattura l’attenzione, sollecita la curiosità e, spesso, richiede la diretta partecipazione del pubblico.
In Permesso di soggiorno (2003), uno dei primi lavori, Alessandro Nassiri Tabibzadeh chiede a conoscenti e amici di trasferire per un giorno il proprio salotto di casa in strada, e lì di accogliere e intrattenere i passanti. L’opera, giocando sulle parole e sul loro significato, assume una valenza politica (riferendosi all’autorizzazione rilasciata a immigrati extracomunitari), ma principalmente allude all’idea di “soggiornare” e colonizzare liberamente gli spazi pubblici della città. Cinema Take Away (2005) va nella stessa direzione; è un cinema portatile montato su un risciò che ha tutto l’occorrente per la proiezione di film, basta solo scegliere il luogo in cui sostare e aspettare che faccia buio. Il lavoro più recente, e forse anche il più complesso, TR4480C (2007), è un viaggio in macchina da Tirana a Piacenza a bordo di una malandata Volkswagen Golf bianca del 1978 comprata in Albania. Un video ripercorre le tracce di questa piccola odissea — oltre 1.200 chilometri per riportare a “casa” l’auto (che era immatricolata in Italia fino al 1994) — e si conclude con la rottamazione della Golf smembrata in tre blocchi, cartocci-sculture di metallo. TR4480C, dalla targa dell’automobile, non modifica le sorti della nostra società che scarta il vecchio per comprare immediatamente il nuovo, ma almeno solleva la questione. Ogni lavoro di Alessandro Nassiri Tabibzadeh può essere considerato una sottile operazione di arte pubblica: interventi che avvengono in contesti collettivi e aperti, che sollecitano la responsabilità e l’impegno di chi vi partecipa, mantenendo però sempre un approccio divertito.