Un uomo pulisce la vetrina di un grande negozio con gesti eleganti e precisi. Ha un braccio teso verso l’alto mentre nella mano destra stringe un panno colorato. Si muove in maniera sinuosa, sulle punte, producendo una sorta di danza. “Dondolava come se stesse pulendo un arcobaleno”, racconta Alice Ronchi, “disegnava tante curve immaginarie. Rimasi a guardalo e sorrisi, credevo mi stesse salutando. Sorrise anche lui”1.
Quest’apparizione fugace, quest’istante di confusione felice, è l’immagine da cui muove Alice Ronchi per realizzare The Greetings Project (2016): un ambiente performativo realizzato per un centro commerciale all’aperto nella periferia Sud di Milano. Chiamata a occupare i cinquecento metri quadri dell’edificio, Ronchi cerca di ricreare le potenzialità espressive di quell’incontro, rimettendo in scena la danza involontaria dell’uomo nella vetrina. Decide allora di chiamare un’impresa di pulizie e assume una serie di professionisti che ogni giorno, per sei mesi, si recano a Scalo Milano per pulire tutte le grandi vetrate della struttura. Per questi performer-lavavetri, l’artista progetta una sorta di coreografia, ma lascia che siano loro stessi a interpretarla liberamente. In questo modo, dilata quella frazione di secondo in cui il gesto dello strofinare si trasforma in saluto e la riproduce spontaneamente, cercando di preservare qualche attimo di stupore.
I lavori di Alice Ronchi nascono molto spesso da una suggestione visiva simile a quella che ha generato The Greetings Project. L’artista si sofferma su un tessuto percettivo che precede la conoscenza e insegue la meraviglia. Dall’osservazione di oggetti e immagini familiari traduce le sensazioni vissute in forme e volumi apparentemente semplici. I suoi lavori sono luoghi di passaggio della fantasia dove le epifanie quotidiane convivono col mondo dell’invenzione. Ronchi si appoggia quindi a un campo immaginario che è al tempo stesso profondamente reale, poi transita con leggerezza da un linguaggio all’altro, da un medium all’altro, coniugando in maniera sistematica e radicale armonia e sperimentazione
È soprattutto la scultura il centro nevralgico di questi transiti. L’artista la considera come un esercizio immaginifico che se da una parte insiste sull’incontro fisico con lo spettatore, dall’altra modifica lo sguardo di chi la osserva prolungando nel tempo la sua azione trasformativa. “La scultura può essere molto dinamica se la pensi in termini di visione”, afferma l’artista, “[…] è il momento che viene prima e, soprattutto, è ciò che accade dopo; è la prossima volta che vedrai un ombrello capovolto sotto il vento e vedrai un fungo, o un fiore o qualunque cosa ti evochi. Questa è la scultura nel mio lavoro, una visione materializzata che ricomincia a essere una visione”2.
Da cosa nasce cosa: l’invito munariano risuona con forza nei lavori dell’artista3. Ogni opera di Ronchi è in fondo generata dalla ricerca costante di cose nelle cose, di immagini nelle immagini, poiché se è vero che il suo processo trasformativo sembra inaugurare una dissociazione dai motivi di partenza, è altrettanto vero che le sue opere intrattengono un rapporto diretto e ambiguo con la realtà a cui appartengono.
Lo notiamo nell’installazione Indoor Flora (2016 – in corso): una serie di sculture composte da un unico modulo ripetuto, realizzate con tubi idraulici incastrati verticalmente, uno sopra l’altro. Questi “totem astratti”4, come li definisce l’artista, abitano un interstizio, una frattura, dove il dominio elementare della natura incrocia la dimensione mentale dell’immagine. Piuttosto che rappresentare piante, alberi o arbusti, le loro forme pastello evocano il ritmo vitale del mondo vegetale. Sembrano proiettarsi verso l’alto, in cerca di luce, mentre si ripetono in un display che assomiglia a un bosco di plastica.
“Ho frequentato la natura come un parco divertimenti per tutta la vita”, ha scritto Alice, “e una volta a Milano l’ho ritrovata nascosta nelle cose artificiali. Ed è da allora che ho incominciato a pensare al paesaggio come a un sistema di relazioni5.
Playground
Il display di Indoor Flora è in realtà la declinazione di una ricerca più
ampia che Ronchi porta avanti sin dagli esordi del suo percorso artistico, quando l’interesse per il paesaggio – inteso come costrutto estetico e culturale, come capacità di avvertire una disposizione armonica e quindi come vero e proprio “metodo” compositivo – inizia a concretizzarsi nella realizzazione di playground. L’artista si sofferma su questi spazi ludici poiché, solitamente, si presentano come un insieme unitario di più elementi, composti dallo stesso materiale ma da forme diverse. Per Ronchi il playground è “un’espressione architettonica del paesaggio”: le permette di ricreare un equilibrio formale vivibile, attraversabile, finalizzato all’intrattenimento.
Il “metodo paesaggio” – sul quale scrive una tesi di laurea nel 2011 – è messo alla prova già nella sua prima personale, “Colazione sull’erba”, allestita alla Galleria Francesca Minini di Milano nel 2014. In quest’occasione l’artista realizza un parco giochi per uccellini – “soprattutto per quelli che a volte, per curiosità o per sbaglio, entrano in casa da una finestra aperta” – e occupa lo spazio della galleria con una serie di sculture realizzate in cartone. Sostenute da strutture in acciaio inossidabile, questi interventi sono ordinati nell’ambiente espositivo come movimenti di un’unica sinfonia. “Colazione sull’erba” è una costellazione di forme calibrate secondo un ritmo preciso, assecondando una grammatica dello sguardo che si nutre di riferimenti molteplici: dai dipinti di Theo van Doesburg degli anni Trenta alle battaglie chiassose e ordinate di Paolo Uccello fino ad alcune scene di Fahrenheit 451 di François Truffaut (1966). Se le forme dei singoli lavori mantengono una propria identità visiva, l’immagine complessiva del progetto trova la sua ragione nella sistemazione e nell’arrangiamento dei diversi elementi. Ogni scultura è un contrappunto armonico che dipende intimamente dagli altri e che contemporaneamente converge sullo spazio d’esposizione.
Sebbene esposto nel 2014, Colazione sull’erba è un lavoro che Ronchi concepisce già nel 2011, come preludio a I giardini di Henri (2012), una serie di fotografie che nasce da una domanda fondamentale: “Cosa succede quando una figura interagisce con il playground?”. Si tratta di un’ulteriore verifica del medesimo “metodo” compositivo, questa volta condotta su un territorio più impervio rispetto a quello della galleria. Ispirandosi alle giungle “immaginarie” di Henri Rousseau, l’artista installa un gruppo di sculture bianche, azzurre e gialle in una fattoria alle porte di Milano. Le dispone in un prato e forma un parco giochi per animali. Aspetta quindi che le capre, le oche e i gatti interagiscano con l’installazione, poi scatta immagini che immortalano il nuovo sistema di relazioni.
Con I giardini di Henri, Ronchi chiude idealmente un cerchio: cattura per sempre un nuovo equilibrio visivo e lo dona allo sguardo dello spettatore; ci invita a cercare il paesaggio, ad avvertirlo, a crearlo, come se l’obiettivo centrale di tutto il lavoro fosse in realtà quello di plasmare lo sguardo, di allenarlo alla ricerca costante dell’armonia.
La forma segue la finzione
Nel 2018 Ronchi crea un’azienda fittizia che chiama “Blue Merlin & Co”. Si tratta di un’impresa specializzata nella produzione di un unico oggetto pensato per un solo ed esclusivo cliente: Mago Merlino. Oltre a questa importante informazione, conosciamo poco della “Blue Merlin & Co”, ma dal laconico messaggio che ci accoglie nello spazio espositivo sappiamo che, a causa di alcuni interventi di ristrutturazione, l’azienda ha spostato temporaneamente lo showroom del dipartimento Barba a Milano, in Piazza Vetra 21. È in questo piccolo negozio nei pressi del parco delle Basiliche – nel mondo reale conosciuto con il nome di MEGA – che Ronchi realizza “Per la barba di Merlino!” (2017). La mostra-installazione è composta da due elementi principali: una tenda a corde, posta all’ingresso dello spazio, che sembra richiamare la lunga barba del mago e una vetrinetta trasparente posizionata al centro della sala. Divisa su cinque livelli, questa piccola vetrina accoglie venticinque oggetti a forma di pettine, dai colori accesi, realizzati con materiali diversi (bronzo bianco, onice, resina, ceramica). Ognuno di questi sembra progettato per soddisfare un bisogno fantastico e particolare, una necessità che non ci è dato conoscere ma che è certamente legata alla quotidianità di Mago Merlino. D’altronde è lo stesso titolo della mostra a ricordarci la “destinazione” e la funzione di quegli utensili.
Sottraendo i pettini all’universo delle merci, Ronchi dirotta l’uso corrente di questi oggetti comuni su un piano assolutamente immaginario: li consegna alle distanze incolmabili di un mondo lontano, inaccessibile. Allo stesso tempo, offre questi frammenti diventati magici e distanti allo sguardo pubblico: li mette “sotto osservazione”, li espone servendosi di un dispositivo (la vetrina) che mima e raddoppia il luogo in cui è presentato (la vetrina su strada di MEGA).
“Per la barba di Merlino!” è una mostra che sembra in realtà “anticipata” da un lavoro che l’artista ha concepito nel 2014, quando profondamente segnata dalle immagini delle avventure acquatiche di Jacques Yves Cousteau – autore di numerosi documentari sulla vita sommersa – aveva creato Mantel for Jacques Yves Cousteau: una piccola mantella a pois disegnata per il celebre esploratore, oceanografo e regista francese. Immaginando l’incontro tra il navigatore e la medusa xilo-sifilus, Ronchi aveva realizzato l’indumento convinta che a Cousteau sarebbe piaciuto vestirsi degli stessi colori e delle stesse forme dell’animale marino. Su uno specchietto che accompagnava il lavoro si poteva leggere: MANTELLO INDOSSATO DA JACQUES YVES COUSTEAU PER INCONTRARE LA MEDUSA XILO-SIFILUS. VOGLIO PIACERGLI, DISSE.
L’opera è l’unica traccia di un progetto molto più ampio – tutt’ora in corso – per il quale l’artista ha ideato (anche in questo caso) un’impresa fittizia, la “Brave People 1920”: azienda attiva sin dagli anni Venti nella progettazione e nella produzione di mantelle. Oltre a quella per Cousteau, la “Brave People 1920” ne ha messe in commercio svariate – si dice ce ne sia una già pronta per Napoleone, pensata “per saltare le pozzanghere” –, ma la sua produzione sembra essere stata interrotta. Qualcuno sostiene che l’azienda navighi in acque difficili, qualcun altro racconta che la sua attuale proprietaria sia ormai troppo impegnata a costruire aquiloni gonfiabili per adulti.
La forma segue l’emozione
Laddove non sviluppano spunti narrativi o finzionali, i lavori di Ronchi si formano attorno a impulsi emotivi che molto spesso derivano dal suo vissuto, dalla sua esperienza. Nella mostra “Majestic Solitude” (2018) quest’attitudine progettuale arriva a stabilizzarsi nella totalità dello spazio espositivo. Come in ogni sua personale, anche in questa occasione è la mostra stessa a costituirsi come paesaggio, come opera d’arte in sé: Ronchi spazializza una serie di interventi che, oltre a essere in stretta relazione tra loro, sono pensati secondo un rapporto simbiotico con il luogo che li accoglie. Articolati nei due principali ambienti della galleria Francesca Minini, i lavori definiscono due differenti tonalità emotive che tuttavia si toccano e si richiamano a vicenda.
Nella prima sala, l’artista dispone cinque sculture che sembrano riprendere strutture archetipiche dell’architettura liturgica. Immerse nell’oscurità, Obelisco, Kaaba, Scala, Tempio, Colonna (tutte del 2018) disegnano un paesaggio plastico introspettivo che mima l’atmosfera sospesa dei luoghi di culto. La fisicità e la concretezza di queste sculture – realizzate con materiali pregiati, come l’onice, il basalto, il marmo – è esacerbata dalla scala umana che imprime all’intero ambiente una dimensione sacrale. Nella seconda sala, invece, l’artista installa a parete, senza soluzione di continuità, trentatré dipinti di diverso formato. La suggestione percettiva di queste opere è di segno completamente opposto rispetto alle cinque sculture dello spazio precedente. Si tratta di lavori leggerissimi, caratterizzati da gesti minimi, semplici, soprattutto intimi: forse svelandone un po’ troppo il senso, Ronchi intitola alcuni di questi Pensieri (2018). Complice la differente illuminazione, in quest’ambiente siamo coinvolti da una sorta di moto ascensionale che ci proietta verso il soffitto della galleria, come se dopo la passeggiata nel buio il nostro corpo ci fosse stato sottratto e non restassero che idee, pensieri, intuizioni. Volteggiamo nello spazio assieme a quelle bolle colorate che sembrano emergere da un’attività profonda, ripetitiva, silenziosa.
Ronchi pensa l’astrattismo come una forma di generosità, come uno stimolo emotivo e intellettuale che pone lo spettatore in un continuo stato interrogatorio. Da cosa derivano quelle forme? Cosa ha spinto l’artista a organizzarle in quella precisa composizione? Sono le stesse domande che ci poniamo osservando i lavori della mostra “With a rose in your teeth” (2022) presso la stessa galleria milanese. In questo caso, Ronchi elabora tre interventi distinti: la serie “True Care”, la scultura Talismano e l’installazione Voglia di tenerezza (tutte del 2022).
Gli otto lavori di “True Care” sono composti da forme organiche tondeggianti dipinte su fogli sottili trasparenti custoditi in cornici di plexiglass. Le forme rappresentate galleggiano sulla superficie pittorica come isole liquide di colore: si sfiorano, si toccano, si sovrappongono. Ogni opera è un microcosmo affettivo che possiede la stessa natura e le stesse leggi degli altri, ma un nucleo energetico totalmente diverso. Poiché nonostante le loro evidenti similitudini, i dipinti di questa serie sono organismi che vivono di un respiro autonomo, indipendente: ognuno porta in scena un soffio di tenerezza diverso; ognuno cela un’origine infantile, profonda, indecifrabile.
Un medesimo enigma si intravede nell’opera che compone il secondo capitolo della mostra: Talismano. Realizzata in marmo rosa del Portogallo, l’opera è formata da due colonne che sostengono un arco solare in ottone. Proprio come i dipinti di “True Care”, anche questa scultura non si esaurisce nella chiarezza della forma, ma suggerisce dimensioni emotive ulteriori, non immediatamente visibili. Unica presenza nello spazio, Talismano è un portale misterioso che sembra cercare un contatto con chi lo osserva, quasi a voler risucchiare dolcemente lo spettatore. Le forme di Ronchi sono ancora una volta familiari, “ovvie”, ma segretamente individuali, fuori da qualsiasi attualità, da qualsiasi tendenza.
L’atto conclusivo è costituito da Voglia di tenerezza: un lavoro che affiora “timidamente” – come afferma l’artista – nello spazio lavorativo della galleria, dove le stesse parole del titolo sono riprodotte in ferro, con una grafia infantile. Si tratta di un indizio preciso, di una chiave di lettura essenziale per interpretare “With a rose in your teeth”, come se quella voglia di tenerezza fosse una necessità condivisa da tutte le opere in mostra.
è amore
In filigrana, l’opera di Ronchi sembra rivelare un’ulteriore sfumatura. Probabilmente poco visibile, ma estremamente presente se si pensa a lavori come The Greetings Project: la centralità dell’incontro, l’interesse costante per le relazioni.
In questo senso, una delle opere più emblematiche è Caro Montemarcello (2022), un progetto d’arte pubblica che l’artista realizza per la terza edizione di “Una boccata d’arte”, l’iniziativa promossa da Fondazione Elpis in collaborazione con Galleria Continua. Chiamata a intervenire nel piccolo borgo storico di Montemarcello (in provincia di La Spezia), Ronchi sceglie di non soffermarsi sull’architettura o sulla storia del posto, ma sul rapporto intimo tra le persone e il luogo. Decide allora di intervistare gli abitanti del piccolo paesino, che le restituiscono immagini diverse, a volte contrastanti, sebbene accomunate da un fortissimo amore per Montemarcello: “parlavano del borgo come se fosse una persona”, racconta Alice, “da lì è nata la mia idea di chiedere loro di scrivere una lettera o un pensiero rivolto a lui direttamente, a Montemarcello”6.
Dopo queste conversazioni, l’artista installa sulle mura difensive del borgo, proprio sull’antico portale d’ingresso, un’opera che riporta la frase: è amore. Il giorno dell’inaugurazione, nella piazza principale del paese, Alice organizza una lettura pubblica delle lettere. In una di queste, un anonimo abitante di Montemarcello aveva scritto: “Sembra di essere su un’isola, la più bella sistemazione della mia vita”.