Dopo un primo sguardo alla mostra “Antipoem” di Ambera Wellmann, la sua prima personale in Italia alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, mi sono chiesta cosa ne fosse stato dei suoi soggetti dalla pelle lucida e di quella materialità visiva ispirata alla porcellana. Le immagini che associavo ai dipinti di Wellmann erano abitate da corpi di pasta di mandorle bianca e rosa, dolci e nauseabondi, al centro di scene erotiche mai del tutto eversive, ma efficaci a ridurre figure umane al feticcio di sé stesse. Ne ho trovato traccia in quattro dipinti di piccolo formato (tutti 2022): Aegis e Holocene, due tele “sorelle”, che mantengono dei suoi dipinti precedenti la composizione collagistica e la figurazione legata alla presenza umana su uno sfondo monocromo. Ne ho trovate altre nella scena erotica di You burn me che, sovrapposta a due anatomie mortifere – chiaro riferimento a Géricault –, rende esplicito il forte legame di Wellmann con la storia dell’arte. E ancora, in Counterclockwise, dove la figurazione si sfalda, l’anatomia assume un aspetto evanescente, con l’eccezione di un teschio, ben riconoscibile sullo sfondo scuro e sotto una luce radente, che sembra evocare le vanitas barocche.
Due tele di medio formato, To a Girl in a Garden (2023) e Impossession (2022), sono attraversate dallo stesso desiderio di trasmutazione dei corpi. Assistiamo allo scioglimento dei corpi umani e al loro fondersi in figure animali, che affollano le composizioni con uno spirito grottesco che pare evocare Hieronymus Bosch. Una spinta centrifuga schiaccia queste opere ai margini della sala, lasciando lo spazio centrale a tre dipinti di grande formato ispirati al mito del Minotauro. Nel primo di questi, Two Things are True (2022), la creatura mitologica abita un paesaggio notturno, dove una luna nera che non illumina si riflette su acque scure. La luce è esterna alla composizione e, correndo radente, plasma elementi anatomiciche, nel dare corpo alla figura mostruosa, sfuggono alle tassonomie umane e animali. Tra i rosa e i bruni della sua carne scorticata pare di riconoscere anatomie deformi, volti, denti e occhi. Uno, quattro, cento occhi. Tanti quanti quelli attribuiti ad Argo nelle varie versioni del mito – mostro i cui occhi vigili alla sua morte finirono nel piumaggio del pavone.
Gli occhi dei dipinti di Wellmann raccontano una storia di trasmutazione e metamorfosi, penetrano tra le anatomie scarnificate, ormai disumanizzate, e ci traghettano nel perturbante e nell’onirico in un modo che sembra omaggiare l’occhio mongolfiera di Odilon Redon. Sono occhi mostruosi, furtivi e stolidi quelli che sbucano tra i bianchi e i gialli delle ossa e dei brandelli di carne della bestia protagonista di Blood Red Chariot (2022). La presenza dell’animale è prepotente e le figure umane, relegate alla parte inferiore della composizione, sembrano annegare nel rosso che riempie lo spazio del dipinto. Gli umani sono completamente assenti, come nella veduta lattiginosa di For you beautiful ones my thought is not changeable (2022), abitata esclusivamente da animali che hanno sembianze di cani, con un dinamismo che ricorda la lezione futurista. L’umano è stato divorato dal bestiale, ma la tragedia s’è consumata dolcemente, senza brutalità.
Un frammento di Saffo sembra tenere insieme tutte le energie presenti in mostra: “Eros, scioglitore di membra, ancora una volta mi scuote, / dolceamaro, impossibile da combattere, creatura insinuante”. “Antipoem” ci proietta in una narrazione mitica e antimitica, dove il mito soccorre la figurazione, spogliata di ogni intenzione simbolica, incarnata da una pittura ricca di riferimenti alla storia dell’arte: alcuni più espliciti, altri lasciati agli occhi di chi osserva.
Nella pittura di Wellmann pare di riconoscere la tavolozza della Punizione di Marsia (1570-76) di Tiziano nell’uso dei bruni; quella di Pieter Bruegel il Vecchio nelle ampie vedute lattiginose; i brulicanti affollamenti di figure grottesche di Bosch; i cieli tormentati di El Greco; i violenti sfondi monocromi di Francis Bacon.
Non c’è dubbio che fosse tutto più semplice con i corpi caramellosi dei dipinti ispirati alle porcellane, e non c’è dubbio che la sperimentazione col grande formato degli ultimi dipinti proietti il lavoro di Wellmann altrove. Anche se non è facile capire dove.