Nel video Desert Dogs (2020), Ambra Castagnetti mostra un uomo e una donna che vivono in un luogo isolato a pochi passi dal mare. Le immagini iniziali insistono sul paesaggio desertico e sulla luce dell’alba che illumina le montagne. Un cane annusa il terreno nelle vicinanze dello scheletro di un animale, mentre l’uomo e la donna si incamminano verso la spiaggia. Le riprese descrivono un tempo ciclico, scandito da pochi momenti preziosi: un tuffo nel mare, la pesca, l’accensione del fuoco. “Ogni giorno era un nuovo giorno, ma allo stesso tempo era sempre lo stesso giorno”, recita la voce fuori campo della ragazza. Anche il racconto della rivoluzione egiziana e degli spari della polizia sulla folla sembra in fondo risucchiato dalle montagne, da quell’atmosfera rarefatta e sospesa che unisce i corpi dei due giovani amanti.
Così come il piccolo mondo di Desert Dogs, la pratica artistica di Ambra Castagnetti testimonia un intreccio radicale tra la vita degli esseri umani e la terra, un fluire indistinto e continuo di forze che sfuma tutti i confini e stringe tutto in un solo sistema complesso. Per l’artista, tuttavia, questa comunione tra gli esseri non può risolversi in uno scenario armonioso e pacifico che lasci intatta ogni cosa. Perché l’essenza di questa profonda interconnessione è essenzialmente indicibile. È una tensione ancestrale che attraversa la carne così come i corpi inorganici e che può assumere contorni insensati, inquietanti, persino tristi.
Nell’installazione presentata nel 2021 alla Manifattura Tabacchi, nella collettiva “L’Armonia”, Castagnetti presenta un paesaggio plastico in cui sembrano avere agito forze sconosciute, non immediatamente disponibili alla nostra comprensione. L’ambiente è interamente occupato da tre lavori di grandi dimensioni che si sviluppano in orizzontale e in verticale. Si tratta di tre sculture composte da anime in ferro, sulle quali l’artista ha disposto diversi strati di materiali eterogenei. La prima di queste, HONEY (2021), è una sorta di alveare realizzato grazie a numerosi calchi di conigli di tassidermia, ricoperti da una resina color miele tempestata da piccoli alveari, da polline e da una serie di elementi vegetali. La seconda, intitolata LICHEN (2021), ha la forma di una spirale ascensionale a due eliche e la sua superficie è composta da grano, sale, gommalacca, gesso e pigmenti di colore. L’ultima scultura, HUNTRESS (2021), è formata dal calco di un corpo umano dal quale sembrano crescere fiori appassiti, muschi e arbusti, così come un tubo idraulico alto quasi quattro metri che l’artista ha rinvenuto nei dintorni dell’ex fabbrica di sigari di Manifattura Tabacchi. Le tre opere sono legate da una misteriosa materia nera disseminata sul pavimento, a metà strada tra una pozza di sangue e una chiazza di benzina o petrolio.
Castagnetti crea una sorta di palude post- industriale, dove il naturale e l’artificiale collidono e dove l’opposizione tra la verticalità e l’orizzontalità delle opere esprime una tensione che non è solo fisica e materiale. “La spinta verso l’alto delle mie sculture si scontra con il movimento della natura e dell’industria che pesano verso terra”, ha affermato l’artista, “in un’eterna lotta tra pensiero e mondo che li stringe in un legame simbiotico e indissolubile, come quello di cui sono costituiti i licheni”1.
I lavori di Castagnetti sono degli autentici microcosmi che ci dicono la permeabilità ultima di tutte le cose. Sono piattaforme porose, dove le diverse entità si attraversano, si compenetrano, secondo un ritmo violento e imprevedibile, e sebbene sembrino cedere alla tentazione del non finito, sono sculture che pronunciano l’atto creativo nel suo farsi, cristallizzando in forme compiute quella stessa forza che le ha generate. Questi brandelli di mondo in cui le cose e gli umani si sono fusi per sempre meriterebbero di essere portati in trionfo, come in certe processioni meridionali, dove uomini e statue si uniscono in un unico grande corpo vivente. E difatti l’artista immagina spesso le sue opere come props, pronte per essere utilizzate, attivate, come vere e proprie continuazioni del corpo.
In occasione della sua partecipazione alla 59a Biennale di Venezia, nell’ambito del programma College Art 2021-2022, Castagnetti presenta un’installazione ambientale intitolata Dependency (2022) composta da una serie di opere in bronzo e ceramica concepite come oggetti di scena per una performance. Sulle pareti della sala, l’artista installa la scultura di un arto inferiore umano – Kitsune (2022) – che inizia con una testa ferina capovolta – realizzata grazie al calco del cranio di un capriolo – e termina con due paia di scarpe che sembrano rivestite da un tessuto velato, mentre all’altezza della coscia si staglia il corpo senza testa di un serpente. Sull’altro lato della sala, è invece installata la scultura in bronzo di un corpetto BSDM, Cat’s Nipples (2022), intrecciato da una serie di catene alle quali sono appesi gli stessi rettili acefali. Come una grande madre dalla quale si alimentano le creature squamate, Cat’s Nipples è la figura originaria che nutre e che genera gli animali striscianti. La sua prole è raccolta su due strutture che ricordano delle tavole operatorie poste ai piedi delle sculture di bronzo.
Muovendo dalla nozione di “mindful body” sviluppata dall’antropologa statunitense Nancy Scheper-Hughes – secondo la quale il corpo è sempre un artefatto fisico e simbolico, prodotto sia naturalmente che culturalmente, e altrettanto saldamente ancorato a un particolare momento storico –, l’artista sostiene l’“incarnazione attiva” come uno dei metodi più efficaci per rompere la normalizzazione e il controllo dell’identità2. Castagnetti si rifà al “pensiero magico” dei popoli primitivi che, come ha sostenuto l’etnologo francese Lucien Lévy-Bruhl3, vivevano uno stato di costante e fluida “partecipazione” col mondo esterno, ma anche all’idea che la stessa alimentazione è in fondo un modo per sconfinare nell’altro. Intendendola più come un mistero alchemico che come una necessità fisiologica, l’artista si sofferma sul potere trasformativo di questo gesto ordinario, sulle sue qualità metamorfiche e sulla sua capacità di far coincidere specie diverse. Il processo di nutrizione, d’altronde, è quasi sempre un incontro interspecie e, al contempo, è l’atto primordiale grazie al quale, ogni giorno, facciamo esperienza di una metamorfosi impercettibile e radicale: “è l’evidenza e la realtà di un movimento incessante che permette a tutte le specie di costruire una sola e medesima vita”4.
Per la sua personale alla Galleria Rolando Anselmi, “Aphros” (2021), l’artista indaga per la prima volta in maniera esplicita il concetto di metamorfosi, lavorando sulla leggenda del Minotauro. Al centro dello spazio espositivo, presenta Tauromachia (2021): una testa di toro in bronzo che riecheggia le pratiche funerarie antiche. L’opera è realizzata grazie al calco di un corno di bue, sul quale Castagnetti ha sovrascritto altre forme creando una scultura ibrida, dall’aspetto seducente e inquietante, che sembra sostenuta da uno zoccolo animalesco.
Allo stesso modo, anche in occasione della mostra collettiva “Oh I Love Barbie, But I Think She Has Gotten Really Bad… She’s So Suburban Now”, allestita alla New Galerie di Parigi, l’artista ritorna sulle storie del mito, soffermandosi su due episodi delle metamorfosi di Ovidio. Il primo è quello di Dafne, sacerdotessa della Madre Terra, che per fuggire alla furia amorosa di Apollo si trasformò in un albero di alloro grazie all’aiuto del padre Peneo. Il secondo è quello di Medusa, l’unica Gorgone mortale con i capelli di serpente, che fu mutata in un mostro dalla Dea Atena dopo essere stata stuprata in un tempio sacro da Poseidone. Nella mostra parigina, Castagnetti presenta due sculture – intitolate Venus as a Boy (Dafne) (2022) e Balalajka (2022) – in cui rappresenta i volti delle figure del mito ovidiano. Dipinte di nero e incastonate in due forme in ceramica, le opere sono esposte su piedistalli trapezoidali, affiancate e a un enigmatico dipinto installato a parete: An empty bliss beyond this world (2022). Si tratta di un’opera dall’aria sinistra, sulla cui superficie sembra affiorare una sorta di cicatrice, sovrastata dal muso di una strana creatura animale.
Oscura e metamorfica, la pratica di Castagnetti porta in primo piano le tracce di un potere anonimo, ignoto, che tutto tocca e tutto trasforma, assecondando il respiro di un’ecologia integrale in cui ogni cosa è intimamente compromessa con l’altra e dove tutto, letteralmente, si sintonizza.