“Temporary Object”, presso la sede napoletana di Thomas Dane è la seconda mostra di Amy Sillman con la galleria londinese dopo la personale “either or and” del 2013. L’esposizione comprende una serie di dipinti a olio di grande formato, un gruppo di disegni e una nuova opera composta da quarantuno pannelli in alluminio che dà il titolo alla mostra.
L’installazione Temporary Object (2023), collocata nel salone centrale, è il perno spaziale e concettuale della mostra e costituisce il palinsesto visivo del processo operativo dell’artista. I quarantuno pannelli in alluminio che la compongono sono infatti la stampa di quarantuno “diagrammi” digitali in cui Sillman ha registrato, passo dopo passo, le condizioni della realizzazione dell’immagine che vediamo in sequenza.
Attraverso la migrazione in digitale del diagramma, eseguito originariamente a mano, Temporary Object esemplifica la temporalità processuale, ma anche il valore circolare, potenzialmente mai compiuto, che caratterizza la pittura di Sillman. L’opera fornisce una chiave per entrare nei dipinti e nei disegni che costellano le pareti della galleria, restituendo la loro temporalità espansa, più filmica che pittorica, costruita decostruendo, frutto di aggiunte e pentimenti, interpolazioni meccaniche e diversioni stilistiche brillanti.
Nel suo incedere pittorico, votato ad “accertare, prevedere e ignorare il passato, il presente e il futuro”1 e a mescolare le tecniche pittoriche tradizionali con altre meccaniche (come la stampa o la serigrafia, su cui poi l’artista interviene nuovamente manualmente), si compie una riflessione sullo statuto, la produzione e il consumo dell’immagine.
Le pitture in mostra portano la traccia, presto contraddetta, dei linguaggi pittorici più disparati, lavati via con dell’acqua o coperti da un passaggio di spatola come in Mug (2023), in cui è appena leggibile la composizione frammentaria di un volto, o in Crank (2023), in cui i riferimenti matissiani restano intuitivamente leggibili. Ironicamente, Sillman è una pittrice che non ama il pennello e, nel suo studio, racconta che ne conserva uno che usa solo quando non adopera altri strumenti come bastoncini, spugne o le proprie mani.
I disegni – registrazioni quotidiane di immagini in costante cambiamento, problematiche sospese tra forma e colore, rappresentazione e frammentarietà – costituiscono un diario di annotazioni giornaliere dell’artista con i “problemi” della pittura. Viceversa, le grandi pitture a olio, realizzate nell’arco di un giorno, di un mese o di anni, costituiscono il punto di approdo e la “compiuta incompiutezza” delle questioni in parte poste nel disegno – in maniera simile a quello che abbiamo visto alla Biennale di Venezia di Alemani.
Al contempo, le pitture e i disegni di Sillman conservano una freschezza e una velocità esecutiva che lasciano presagire una qualità istintuale del gesto. In effetti, il pensiero pittorico di Sillman si è formato nella New York della fine degli anni Settanta attraverso il “prisma del post-bauhaus, post-espressionismo astratto, post-hippie” del tempo.2 Un dato che preserva la presenza fisico-gestuale dell’artista accanto alla qualità “politica” della sua pittura, sospesa tra linguaggio e immagine, corpo e pensiero, figurativo e astratto.
In un passaggio del suo saggio Further Notes on Shape (2019), l’artista ricorda come il problema esistenziale del soggetto nella pittura degli artisti newyorchesi gravitanti attorno all’8th Street Club, fosse un dilemma risolto con il disegno, secondo un percorso di inserimento della realtà e del tempo presente all’interno dell’opera nell’incontro tra il mondo interno e quello esterno al soggetto stesso.3 Una decina di anni dopo, la concettualizzazione visiva di questo assunto prende forma nel minimalismo e in opere processuali come Continuous Project Altered Daily (1969) di Robert Morris – un riferimento centrale per il lavoro di Sillman.
Guardando a distanza queste esperienze, e a partire dalla consapevolezza di una continua “decomposizione e deformazione” della realtà, nei costrutti sociali come nei corpi che la abitano, la necessità di una composizione diventa un imperativo quasi etico risolto nell’atto del dipingere che fa i conti con il senso di eterna precarietà del presente. La pittura resta un problema esistenziale, e gli strumenti restano quelli della pittura tradizionale, ma cambiano foggia e aggiornano la propria metodologia operativa grazie a un approccio del tutto concettuale.
La pittura di Sillman si compie in questo modo “quando le attitudini diventano forma”, o il pensiero in divenire si trasmette in gesto sulla superficie.