Visitando “Grand Bal”, prima grande retrospettiva di Ann Veronica Janssens in Italia, ci si rende immediatamente conto di essere chiamati a utilizzare i propri sensi all’interno di uno spaziotempo che sconfina da quello espositivo delle navate di Pirelli HangarBicocca. Alla netta percezione di questo sconfinamento contribuiscono innanzitutto alcuni interventi sull’architettura dell’edificio: diverse aperture sul tetto e sulla parete esterna ne spezzano i confini, assicurando un movimento compenetrante di luce, aria e suono che permette al visitatore di percepire il legame osmotico che esiste tra i due ambienti. Proprio luce, aria e suono, del resto, sono tra i “materiali” da sempre prediletti dalla sperimentazione dell’artista, che si concretizza in lavori molto eterogenei, ma che condividono in gran parte il carattere effimero, spesso richiamandosi alla poetica minimalista. In molti casi, queste opere richiedono una spettatorialità performativa e dinamica, a cui fa riferimento, peraltro, il titolo della mostra: siamo chiamati a partecipare attivamente al progetto espositivo come fossimo un “grande ballo”, riscoprendo il nostro corpo nella nuova relazione interdinamica che si crea con le opere e con lo spazio circostante, o, più esattamente, con opere che diventano spazio.
Muovendo i primi passi nelle navate, il primo intervento, Drops (2023), cattura immediatamente l’attenzione, suggerendo un vago quanto istintivo senso di circospezione. Delle superfici rotonde si stagliano sul pavimento interrompendo la continuità della superficie. Da lontano, assomigliano a dei piccoli buchi neri, che catturano la luce circostante e la trasportano in un’altra dimensione. Avvicinandosi, l’inganno è poco alla volta svelato: si tratta di specchi che riflettono l’immagine cangiante dell’architettura e con essa, infine, quella umana. Lo spettatore, infatti, muovendosi lentamente in maniera concentrica e quasi felina, arriva a sporgersi sull’abisso riflettente, riconoscendo, tra le altre cose, il proprio viso che guarda altrove.
Poco distante, una disposizione di mattoni di calcestruzzo costituisce Area (2023), un’installazione site specific che occupa una parte importante degli ambienti espositivi e che rievoca in maniera diretta l’esperienza minimalista, in particolare modo le sculture assemblate di Carl Andre. Il carattere instabile e fragile di Area, che a prima vista contrasta con la solidità del materiale utilizzato, emerge una volta che si percorre questo spazio nello spazio: non essendo fissati, i mattoni sotti i piedi si rivelano una superficie non perfettamente salda e sicura, come testimoniato dall’eco sorda del lieve crepitio emesso dai passi dei visitatori. Sulla parete opposta, che funge anche da palcoscenico per altri lavori – come Swings (2020–23) e Oscar (2009) –, un intervento inedito dell’artista trasforma ognuna delle otto aperture laterali in membrane artificiali che sembrano assolvere una funzione biologico-respiratoria. Un doppio strato di reti da zanzariera, fissato unicamente all’estremità superiore dell’apertura, si muove liberamente, gonfiato verso l’interno dello spazio dalla visibile corrente d’aria che giunge dall’esterno. Dal movimento sovrapposto delle maglie delle reti scaturisce, per effetto della luce naturale che le colpisce, un affascinante effetto ottico, quasi ipnotico e lisergico, da cui il tiolo del lavoro, Waves (2023).
All’estremità della sala, due opere ripercorrono la ricerca di Janssens sulla dematerializzazione dell’oggetto d’arte. Così come già la luce, l’acqua e l’aria, ora è la nebbia a diventare medium artistico: sostanza in grado di dare un quasi-corpo, seppure volatile ed effimero, all’intangibile. In for PHB (2004–2023), questo elemento sembra “scolpito” da alcuni fari che proiettano una luce abbagliante, accentuandone la dimensione fantasmatica. In MUHKA, Anvers (1997–2023), allestita all’interno degli spazi del cubo, si esperisce invece una vera e propria fenomenologia della nebbia, e ben presto la si scopre come perfetta metafora della condizione esistenziale: smarrimento, indeterminatezza, disorientamento, incertezza.
E, tra la nebbia, ecco di tanto in tanto apparire le figure di altri viandanti, ormai ridotte a ombre nere dai contorni vaghi e indefiniti. Eccoli muoversi piano con timore e cautela, procedono protraendo le braccia in avanti per evitare di scontrarsi con ostacoli invisibili; cercano la porta d’uscita, la via di casa, dopo la fine del grand bal.