Il Dance Deck, spazio in legno per la danza all’aperto, costruito da Anna Halprin tra il 1951 e il 1954 – sul fianco di una collina boscosa nella zona di Redwoods a Kentfield, Marin County, in California – in collaborazione con il marito Lawrence Halprin (1916-2009), paesaggista, urbanista ed ecologista, è un dispositivo architettonico che ha trasformato la pratica della danza allo stesso modo in cui il sistema a “piano libero” e la Maison Dom-Ino progettata da Le Corbusier hanno rivoluzionato l’architettura.
Piano libero contro piano paralizzato
Nel 1933, al CIAM 4 di Atene, Le Corbusier tracciò un bilancio della sua esperienza nel 1910 sull’Acropoli, dove ebbe l’intuizione del “piano libero”. All’epoca però non lo descrisse in questi termini; il “piano libero o ordine aperto” sarà concettualizzato nella contrapposizione piano libero/piano paralizzato nell’articolo Précisions sur un état présent de l’architecture et de l’urbanisme, comparso nel 1930 Esprit Nouveau. Non è un concetto isolato, bensì la combinazione di diversi parametri che soddisfano determinate condizioni di possibilità per la definizione del “piano libero” o dell’ordine aperto. In primo luogo, l’approccio angolare di cui Jacques Lucan ricorda l’importanza in Composition, non–composition: architecture et théories, XIXe–XXe siècles: “Nel caso del tempio egizio, l’approccio è ‘centrale’, lungo un asse che ordina altrettanto simmetricamente l’intero edificio. Nel caso del tempio greco l’approccio è ‘angolare’, cioè deriva da uno spostamento in relazione a qualsiasi assialità, con lo spettatore che fa un passo indietro. Se si adotta l’approccio angolare, il percorso non è più soggetto alla disposizione stessa: il percorso e l’architettura acquisiscono la loro indipendenza.”1
Secondo lo storico e gli autori a cui fa riferimento, si stabilisce una dialettica tra continuità e discontinuità: discontinuità nella disposizione degli edifici, continuità del percorso che permette di comprenderli singolarmente. Se si fa un passo di lato, la vista angolare prevale su ogni visione frontale. Se Le Corbusier attinge all’esperienza dei suoi ventuno giorni di permanenza sul picco roccioso formulando l’idea di una “passeggiata architettonica” in opposizione alla vista della facciata, è perché, secondo Lucan, “ciò che l’Acropoli di Atene ha permesso di descrivere e dichiarare è un principio di un piano antinomico a quello di una serie di stanze simmetriche.” Ma ciò che ha contribuito a rendere possibile la teoria del piano libero negli anni Trenta del XX secolo è stata la scoperta e l’introduzione nel mercato del cemento armato che, unita all’antico approccio angolare, ha permesso la costruzione di Dom-Ino. Di fatto, le pareti portanti o la finestra hanno sempre costituito degli ostacoli al trattamento del piano. Questa nuova tecnica di pilastri a vista in cemento armato abbinata a quella del vetro per porte o finestre vetrate, sviluppata dai laboratori Saint-Gobain, apre infinite e straordinarie ricchezze a un nuovo progetto. Dal confinamento del rigido telaio delle pareti portanti sostenute da una facciata magistrale si passa alla piattaforma aperta con partizioni mobili, scandita da una passeggiata architettonica.
Dance deck contro palco con proscenio
In un’intervista sulla costruzione del palcoscenico aperto sulla natura della casa di Kentfield, Lawrence Halprin spiega: “[The Deck] non è diventato un oggetto nel paesaggio, è diventato parte del paesaggio, il che è molto diverso. Il suo essere forma libera, che si muove in risposta agli alberi, alla vista delle montagne e ad altre cose, è stato da allora uno dei miei presupposti”. Segue Anna Halprin: “Abbiamo dovuto tagliare nettamente con l’arco di proscenio e il ruolo assegnato al danzatore.”2 Per più di sessant’anni l’artista ha dato vita a spettacoli di danza innovativi a partire da questo spazio innovato e ancora oggi esegue rituali di movimenti terapeutici. Sempre lei dichiara: “Ho cominciato semplicemente a liberarmi di tutti i miei vecchi modelli, e ho dovuto ricominciare da capo con nuove idee su cosa sia la natura in me e su come questa e la mia natura siano entrate in connessione. In quel momento ho preso a sviluppare un nuovo approccio al movimento.”3
L’arco di proscenio può essere considerato al pari di una costruzione sociale che separa lo spettatore dai danzatori, ma è anche ciò che sottolinea la cornice visiva separando il tempo dello spettacolo da quello della vita quotidiana. Per Halprin, l’approccio sperimentale si basa sul vivere nel presente. La danza non riguarda l’individuo, ma il “noi”, da qui deriva la sua concezione collettiva della danza: “Desidero che il pubblico e il danzatore lavorino all’unisono”. Come per il piano libero e l’ordine aperto di Le Corbusier, a permettere di progettare il palcoscenico all’aperto è l’incontro di pratiche sino ad allora separate nel tempo o per categorie: per Halprin la pratica della danza diffusa da Marguerite H’Doubler, il cui insegnamento si basa su sessioni di dissezione del corpo e lezioni di anatomia, e per Lawrence Halprin (che aveva incontrato la maggior parte dei membri originari dell’Università di Harvard nel 1937) la pratica dell’architettura influenzata dal Bauhaus, più che da Le Corbusier. Halprin rompe con la struttura della danza moderna, il cui progetto, secondo lei, è plasmare corpi secondo il canone del coreografo, che si va a sostituire a quello della costrizione sociale, senza di fatto liberarli. Tutti i danzatori finiscono così per assomigliare a Martha Graham, che affermava: “Ci vogliono dieci anni per fare un danzatore”, e H’Doubler ribatteva provocatoriamente: “Bastano dieci minuti”. Halprin continua sulla scia di quest’ultima restituendo a ciascuno il controllo del movimento. Invece di praticare l’addestramento del corpo, cerca di incoraggiare la creatività di chiunque nel corso di processi che si spingono oltre il conformismo del comportamento. Le performance basate su “compiti” propri della vita quotidiana e ripetuti sul palco interrompono la continuità dello spettacolo di danza, allo stesso modo in cui la carta di giornale dei cubisti (ir)-rompe l’omogeneità e l’armonia della superficie pittorica.
Punteggio contro coreografia
Il passaggio dalla coreografia allo score – alla creatività collettiva – è in questo senso un punto di svolta decisivo. Formalizzato da Halprin in dialogo con sua moglie nel 1968, il ciclo di risposta “RSVP” descrive questo processo creativo nelle sue quattro componenti: una valutazione delle risorse viventi e ambientali (R); la composizione di un punteggio chiamato Score (S); la valuaction, una valutazione del lavoro sotto forma di feedback che fa avanzare lo Score (V); e la performance (P). Ad esempio, in risposta alle rivolte di Watts a Los Angeles nel 1965, Halprin mette insieme una compagnia di danza americana multietnica senza precedenti (Dancers Work-Shop) in cui RSVP fornisce un metodo che consente a ogni comunità di essere vista e ascoltata alle proprie condizioni. Per superare i conflitti, il ciclo stabilisce un principio di rituale che sostituisce la struttura convenzionale della lezione di danza. Il Rituale Animale o il Rituale Femminile Maschile possono superare le differenze razziali, sessuali e locali. L’approccio originale del corpo nello spazio che danza con il respiro e la pulsazione, inaugura a partire dagli anni Sessanta la performance collettiva come contrappunto alla danza moderna. Il contributo di Halprin a questa nuova modalità di danzare è fondamentale, quanto quello di John Cage in ambito musicale. Se Cage dà valore al silenzio introducendo il pianoforte preparato, in modo da aggirare l’istituzione della scala predefinita dall’oggetto meccanico, Halprin introduce alla “non danza” agendo sullo spazio scenico che confina i movimenti del corpo e lo libera dai suoi limiti naturali e sociali con l’esterno. Lo specchio, componente e elemento associato alla danza, scompare per lasciare il posto allo scheletro articolato dell’anatomista (ogni sessione sul palcoscenico esterno inizia con una breve dimostrazione dei principi dell’articolazione delle ossa del corpo di un manichino sospeso).
Performance contro danza
Tuttavia, come nel caso del compositore musicale inglese Cornelius Cardew – che a partire dagli anni Sessanta introduce una nuova dimensione grafica nell’ambito della notazione musicale classica –, Halprin non aderisce a questo genere di riforma esclusivamente per un principio di natura formale: il suo è anche un progetto politico. In Stockhausen Serves Imperialism Cornelius Cardew lo analizza con chiarezza riguardo alla musica: “Quali aspetti della società attuale si riflettono nel lavoro di John Cage? La casualità è glorificata come un caleidoscopio di percezioni a cui siamo ‘onniattenti’. Come gli action paintings di Jackson Pollock, la musica di Cage presenta il dinamismo superficiale della società moderna; egli ignora le tensioni e le contraddizioni che sottendono la produzione di questa (segue McLuhan nel vederla come una manifestazione della nostra ‘coscienza elettronica’ di recente acquisizione). Non la rappresenta come un caos oppressivo derivante dalla mancanza di pianificazione caratteristica del sistema capitalistico in decadenza (un tripudio di avidità e di sfruttamento)”4.
Halprin e Cardew combinano la trasformazione degli strumenti di lavoro con quella del ruolo dei protagonisti dell’opera. I ruoli devono cambiare ed essere aperti anche ai non professionisti, persino ai non ballerini o non musicisti. La pratica della danza o della musica non esistono ai fini di confermare lo stato della società e le sue divisioni, ma per trasformarla secondo nuovi schemi. Questi, siano essi musicali o coreografici, producono nuove soggettività – ad esempio, il musicista non professionista o il performer per la danza (invece del ballerino professionista) – in contrasto con la distribuzione dei ruoli predefiniti nella società dello spettacolo. Entrambi dunque cercano di allontanarsi dal profilo del produttore borghese, contrapponendosi al modo in cui Cage o Stockhausen ne rinnovano i principi. In Stockhausen Serves Imperialism Cardew insiste: “Music of Changes ha di fatto una forte somiglianza con la società capitalista, come Cage aveva prospettato nel 1951; cioè, come semplice somma totale dei singoli membri che si limitano a procedere per conto proprio, secondo i propri dettami. Ogni particella di questo universo appare libera e spontaneamente in movimento, corrispondente al libero produttore borghese come lui stesso si immagina; gli eventi sono costituiti dalle loro collisioni e sono il prodotto del caso interno. Tuttavia, una misteriosa forza cosmica tiene insieme tutte quelle particelle in un unico sistema; questa misteriosa forza è semplicemente la legge capitalistica della domanda e dell’offerta.”5
I membri del Judson Dance Theatre, riuniti intorno alla classe di composizione di Robert Dunn, cercheranno di tradurre la politica dei laboratori di Anna Halprin nella struttura rizomatica di New York, dando così origine alla danza postmoderna. Alcuni dei membri fondatori di questo gruppo, Trisha Brown, Ruth Emerson, Simone Forti, Yvonne Rainer, e Robert Morris avevano partecipato attivamente al dance deck alla fine degli anni Cinquanta. Come nota Adrian Heathfield nel testo Judson Dance Theater – The Work Is Never Done6 per la mostra del 2018 al MoMA di New York, che rende giustizia all’importanza del dance deck nella storia della danza, “il dance deck è una ‘architettura fantasma’ per la Judson Memorial Church; gli spazi di invenzione che gli Halprin hanno aperto nei boschi del monte Tamalpais sono stati portati nelle sue sale.”7
Un anno prima di questa mostra, nel 2017, documenta 14 a Kassel ha reso omaggio al dance deck per la storia dell’arte contemporanea in generale e delle sue pratiche trasversali (performance, urbanistica, ecologia, genere, razza e così via). Uno spazio articolato intorno a documenti e piante inseriva il dispositivo creato dagli Halprins nella passeggiata attiva offerta al visitatore della documenta-Halle. Questa tappa della visita era introdotta dalle maschere rituali di Beau Dick (1955-2017) e proseguiva con le sculture passive di Marie Cool e Fabio Balducci, per concludere con il piano inclinato di Scène à l’italienne (Proscenium) (2014-) dei coreografi Annie Vigier & Franck Apertet (les gens d’Uterpan) per poi terminare nell’ultima sala dell’edificio con Social Dissonance (2017) di Mattin, un concerto durazionale di 163 giorni prodotto dal pubblico di documenta 14, all’interno di un cubo bianco trasformato in uno spazio di produzione collettiva. Questo viaggio incarnato all’interno dell’edificio, che sottolinea una pendenza verso il parco pubblico (Staatspark Karlsaue) e la natura, è stato un invito ad agire – piuttosto che a subire, come accade nella maggior parte delle performance attuali, frutto di un patrimonio post-Cage – un’azione, che Halprin trasmette ancora oggi durante i suoi laboratori proposti nei boschi rosseggianti del Dance Deck del monte Tamalpais8.