Volto a cogliere le dinamiche che riguardano l’uomo nel complesso scenario pubblico, il lavoro di Antonio Della Guardia (Salerno, 1990) si pone come una presa diretta della realtà trascritta mediante cortocircuiti, spostamenti o condensazioni che mostrano luci inedite sugli sfondi politici e sociali della new-economy.
Nel lavoro di Della Guardia l’osservazione del mondo s’identifica con la prassi di conoscenza scientifica che non è neutra e passiva, ma è sempre legata a una pratica interpretativa. Del resto, ad alimentare la cassetta degli attrezzi utilizzati da Della Guardia non è soltanto il territorio dell’arte del quale alcuni nomi sono per l’artista punti fermi (Marcel Duchamp, Pino Pascali, Francis Alÿs e Félix González-Torres), ma anche tutta una serie di saperi quali antropologia, sociologia, psicologia, storia, economia e diritto.
Nel 2014 l’alterazione di una banconota da 5 euro è inchiesta sulla condizione di povertà originata dall’eurosfera. Sui due lati della valuta è possibile infatti riscontrare la presenza quasi impercettibile di alcune figure umane che indicano la condizione di miseria, il venir meno alla lotta, l’abbandonarsi a forze estranee e ostili, la sottomissione del cittadino europeo a un futuro scelto da pochi funzionari. La 5 EURO contraffatta mediante piccoli ma incisivi interventi semiotici che ne distorcono la forza simbolica è per Della Guardia organizzazione di un piano utopico, legato a un fallimento programmato (l’artista avrebbe voluto immetterla nel circuito quotidiano per dilatare l’opera all’orizzonte della vita) e proprio per questo vittorioso, trionfante.
Anche Si è intrappolato il gattino di Mattei (2014), il solo project proposto alla Galleria Tiziana Di Caro in occasione della X Giornata del Contemporaneo rivisita la storia recente e scava in un presente economico ormai privo di certezze o di visioni risanatrici. Partendo appunto dalla felice metafora[i] adottata da Enrico Mattei nel 1961 per spiegare l’operato dell’Eni e per riaccendere la fiamma dell’orgoglio nazionale, Della Guardia crea un paragone tra la prima fase del Gruppo dal cane a sei zampe (il cui fioco miagolio era spaventato dai grandi colossi petroliferi) e il Museo Materiali Minimi d’Arte Contemporanea di Paestum – del quale un dispositivo audio consegna un fioco miagolio – che dopo una breve ma intensa avventura è stato cancellato dalle amministrazioni locali. A questo stesso museo l’artista ritorna con Spirit (2015), immagine solitaria come il soggetto che raffigura: un cavallo di Mimmo Paladino donato al MMMAC e poi spostato a Fisciano, nell’atrio di Palazzo De Falco. Fotografato quasi furtivamente, il cavallo sembra parcheggiato, abbandonato a se stesso o a un’attesa snervante, lasciato in un angolo “come l’aratro in mezzo alla maggese” (Pascoli).
Chewing Method (2016) è d’altro canto un video formato da alcune interviste registrate da un’emittente televisiva napoletana dove l’artista ha lavorato per un po’ di tempo. Invitato a tenere quattro puntate sull’economia italiana, un commercialista meraviglia Della Guardia per l’imprecisione nel comunicare le statistiche dell’economia italiana o nel pronunciare una serie di nomi con toni di voce che oscillano continuamente e che diventano così metafora di instabilità, “sovrapposizione sfalsata e vacua tra tempo reale e messa in scena” (Della Guardia). La chiara ripresa, nel titolo, del Methoden formulato da Emil Fröschels[ii] per lavorare sull’attenuazione dell’iperfunzione vocale rappresenta una potenziale via di fuga dal collasso finanziario.
Nato nel 2016 durante una residenza la residenza CSAV – Artist Research Laboratory alla Fondazione Ratti (ma già pensato in occasione del seminario sul Comune sensibile alla Fondazione Lac o Le Mon a San Cesario di Lecce) – dove torna utile la lezione di Jacques Rancière che ne La partizione del sensibile (2000) scrive sull’uomo inteso come un “animale politico, perché è un animale letterario che si lascia sviare dalla sua destinazione naturale dal potere delle parole”[iii] –, Le Rèel est toujours l’objet d’une fiction (2016) è un discorso sul valore del tempo libero sottomesso e modellato da fattori capitalistici. Se su un cuscino verde una frase di Rancière tratta da Lo spettatore emancipato (2018) invita a ragionare sulla finzione che è funzione utile a cogliere e interpretare la realtà, dall’altra una colonnina acustica propone la eco falsata del lago, creando un’analisi immediata tra il tempo reale della vita e l’irrealtà quotidiana. Legata alla meditazione sul “Sensibile comune” e in dialogo alla Galleria Nazionale con la Stuoia (1968) di Pino Pascali, In loco parentis (2017) “riflette su come l’estensione del tempo lavorativo mediante la tecnologia comporti la costante perdita di memoria” (Della Guardia) e mette in gioco la Vergessenskurve teorizzata da Hermann Ebbinghaus.
Realizzato come site specific in occasione della mostra “Disio. Nostalgia del futuro” (Caracas, 2017), Untitled (General Resistance Syndrome) è un diagramma che prende in analisi la sindrome generale di adattamento formulata da Hans Selye per relazionarsi con il sistema politico venezuelano. Anche in questa occasione l’artista tratta una nozione scientifica reindirizzandola creativamente nell’ambito di riflessioni “legate all’uomo, al suo adattamento a un modello lavorativo e alle relative ripercussioni sulla vita personale” (Della Guardia). Ripresa, rimpicciolita e proposta nel format Free Stage di ArtVerona 2017, la stessa sindrome diventa meditazione sul lavoro, sulla perdita di qualcosa, sulla ricerca di benessere. Collocata in una sala accanto a due Sputi (2017) in argento, a un arto artificiale – DO UT DES (2017) – che perde la sua funzione originaria per diventare un piccolo pozzo dei desideri e a Permanent Illusion (2017) dove un cubetto di pirite nasconde parte di una foto che mostra la gamba destra di un operaio rifratta sulla superficie specchiante del minerale e dunque legata all’eterna illusione di possedere quello che manca – la sindrome è riletta mediante le sue leggi di omeostasi, di riequilibrio e di stabilizzazione generate in seguito a fattori di stress.
Mapparsi (2017), serie fotografica in itinere, è un’ulteriore analisi sulla tensione psicofisica causata dal lavoro: “ogni foto ritrae la schiena di un operaio a fine giornata lavorativa” avvisa Della Guardia. “La quantità di sudore asciugatosi sulla maglietta forma un’ipotetica mappa interiore e trasforma l’indumento in una pellicola fotografica”. Legate al filo sottile del tempo libero e del circuito lavorativo sono pure alcuni interventi recenti come Untitled (Reflectors) (2018) e Anche i fantasmi producono ombre (2018) dove il piatto della bilancia pende sul tempo di sospensione della coscienza che porta a un controllo totale delle classi subalterne. Se da una parte l’artista recupera una scarpa Converse usurata sostituendole la suola con un calco in lega Zama per ricordare gli eroici passi degli operai in difesa dei propri diritti o nel meritato svago domenicale, dall’altra si concentra sulle fabbriche e sulle sale da ballo abbandonate del quartiere Barriera Milano di Torino per porre l’accento sul rapporto che intercorre tra il tempo del lavoro e quello della vita, tra ciclo produttivo e svago.
Divisa in quattro momenti ben precisi, il primo dei quali è dedicato a un neon che occupa tutta la prima sala e che introduce lo spettatore a una nuova lingua da utilizzare per decifrare l’intero percorso, la prima personale di Della Guardia alla Galleria Tiziana Di Caro conferma una forza evocativa, una babelica e camaleontica eterogeneità di materiali utilizzati con disinvoltura per sfuggire a qualsiasi classificazione. L’alfabeto del potere (2018) è infatti un primo passo realizzato con segni grafici estrapolati dalle firme dei più influenti politici per creare la lingua perfetta del terrore. Un secondo momento della mostra è caratterizzato dall’esercizio di scrittura (da un video che mostra due ragazzi intenti a “ricopiare” la Divina Commedia per assimilare il neoalfabeto) seguito da un kit con le regole del buon manager e da una grande installazione a parete: 285 fogli (utilizzati dai due amanuensi per esercitarsi) tra i quali sono collocati tre grafici attitudinali. Intitolata La luce dell’inchiostro ottenebra, frase estrapolata dal Traité de savoir-vivre à l’usage des jeunes générations di Raoul Vaneigem ma alla quale è sostituito il sostantivo “potere” (in “inchiostro”), questo saggio visivo procede per altre due tappe fondamentali: la prima propone le mani di quattro differenti manager che mostrano la loro penna del comando su cui è inciso un animale simbolico (il lupo, l’aquila, il cavallo, la tigre), la seconda ospita una poltrona da ufficio modificata sostituendo i piedi con le assi di una sedia a dondolo per rilevare una oscillazione potenzialmente pericolosa.
Con un andamento che combina sempre costruzioni steganografiche e poligrafiche, Della Guardia propone un mondo che riflette il movimento stesso della realtà e lavora su un concetto di verità che si connette a flussi, a forme di un ragionamento logico dove memoria, storia o cronaca diventano stimolo creativo, primum movens di un’analisi attenta a decifrare le occasioni del tempo e a restituire potenti apparati, dispositivi meditativi, labirinti in cui è possibile rintracciare tutto il potere, tutta la freschezza di un pensiero in grado di coniugare mentale, manuale, materiale.