Sono passati trentotto anni da quel terribile giorno del 1975 in cui Bas Jan Ader risulta disperso in mare nel tentativo di raggiungere l’Irlanda a bordo di una piccola imbarcazione in occasione del suo ultimo e tragico progetto In Search of the Miraculous. Ne sono passati altrettanti per vedere realizzata la prima retrospettiva italiana presso Villa delle Rose, curata da Javier Hontoria e promossa da MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna (Istituzione Bologna Musei).
Lungo un intenso ed emozionante percorso diviso in sei sezioni, la prima cosa che salta immediatamente agli occhi è l’incredibile lascito che Bas Jan Ader ha regalato alle successive generazioni grazie all’attualità di una ricerca in costante bilico fra passato e presente, fra dato emozionale e dato concettuale, fra elemento personale e testimonianza collettiva.
Non a caso la retrospettiva si intitola “Tra due Mondi”, a intendere questa continua tensione dialettica, tanto visiva quanto mentale, che ha agitato le opere come l’animo dell’autore; una sorta di “operazione in transito” in cui la tradizione europea (con tutte le accezioni romantiche, stilistiche e culturali della sua terra) e l’oggettività cristalizzata dall’arte concettuale d’oltreoceano spesso coesistono o collidono. Nella sezione “Melanconia e Romanticismo” si riconosce immediatamente l’attenta analisi dei postulati della tradizione romantica europea come la riflessione di inferiorità umana nei confronti della natura e del paesaggio che affiora in Farewell to Faraway Friends (vicina a Monaco in riva al mare di Caspar David Friedrich) e, allo stesso tempo, un’attitudine “melanconica” vicina agli studi neoplatonici del Quattrocento fiorentino in The artist as consumer of extreme comfort.
Straniamento, presenza, assenza, solitudine (nel lavoro come nella vita) diventano i tratti stilistici del lavoro di Bas Jan Ader. In Nightfall e (Untitled) Tea Party appare evidente come la solitaria riflessione verso l’intenzione estetica e la tradizione non escludano la presenza dell’artista, che spesso viene posto al centro dell’azione.
Bas Jan Ader trascende quindi le “modalità” contingenti al periodo storico in cui lavora, affidandosi, al contrario, a un’ipotetica trasposizione dell’eroe solitario destinato al fallimento: in un evidente confronto con i personaggi di Charlie Chaplin o Buster Keaton, l’artista si spinge oltre, isolandosi a favore di una mimesi collettiva verso la trasposizione di un altro da sé, sperduto, perdente, rassegnato ma sempre presente a se stesso.