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347 Dicembre – Febbraio 19/20, Recensione

27 Febbraio 2020, 9:00 am CET

Berlinde De Bruyckere Fondazione Sandretto Re Rebaudengo / Torino di Davide Daninos

di Davide Daninos 27 Febbraio 2020
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“Aletheia”. Veduta della mostra presso Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino, 2019. Fotografia di Mirjam Devriendt. Couresy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino.
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Palindroom, 2019. Veduta dell’istallazione presso Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino, 2019. Fotografia di Mirjam Devriendt. Couresy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino.
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“Aletheia”. Veduta della mostra presso Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino, 2019. Fotografia di Mirjam Devriendt. Couresy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino.
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It Almost seemed a lily V, 2018. Fotografia di Mirjam Devriendt. Couresy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino.
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“Aletheia”. Veduta della mostra presso Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino, 2019. Fotografia di Mirjam Devriendt. Couresy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino.

Bancali di legno ricoperti di pelli in resina e cera policroma guidano il percorso nelle sale scarsamente illuminate della Fondazione Sandretto.
La lavorazione delle pelli animali è un gesto antico, la cui ritualità ha lasciato spazio alla ripetizione della massificazione industriale. È nella serialità che nasce il paesaggio violento osservato dall’artista nelle sue visite formative alle concerie olandesi, di cui sviluppa il potenziale narrativo ed estetico per costruire le sue riflessioni attorno al medium scultureo.
Le sue epidermidi artificiali sono il calco di corpi viventi, processo capace non solo di riprodurre la topografia del derma animale, ma responsabile per la presenza di peli e altri frammenti organici raccolti dai tessuti originali. L’uso del calco, utilizzato sugli animali fin dal Rinascimento, perde in parte le sue finalità mimetiche nel corridoio iniziale dove le cere, piegate e trasformate in solidi geometrici, rispecchiano la metamorfosi oggettuale a cui vengono sottoposti gli animali nel loro trattamento industriale (Nijvel I-II, 2019).

Pioenen, 2018. Fotografia di Mirjam Devriendt. Couresy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino.

Ma è nella sala principale che la tensione informe di queste masse semi-organiche trova maggiore espressione. Qua, sotto tepide luci di lampade industriali, montagne di pelli si trovano a riposare in masse disordinate e ricoperte di sale conservativo. Un paesaggio arido, polveroso e sterile, dove il pavimento, trasformato in una superficie grezza e irregolare, accentua l’esperienza di disagio che permea questa sala di stoccaggio oscura (Aletheia, on-vergeten, 2019).
Il titolo richiama verità non dimenticate. La riduzione del vivente a oggetto evoca facilmente la verità degli stermini del XX secolo, nei quali la catena di montaggio è stata luogo di oggettificazione e di morte anche per gli esseri umani: la vita trasformata in cenere, i corpi in masse di carni impilate nelle fosse comuni.
Come in un mito greco, la narrazione ritrova nella metamorfosi gli strumenti per tradurre la tragicità della rappresentazione in nuove potenzialità. All’interno di cornici funebri, frammenti di corpi animali trovano nel loro decadimento nuova energia per effettuare un cambio di stato, la trasformazione da animale a vegetale (It almost seemed a lily IV-V, 2018). Come nell’Apollo e Dafne del Bernini, anche qui la metamorfosi è colta ancora in atto: questi “lillà da terra morta” (T.S. Eliot) riproducono nella duttilità della cera il ritmo della materia organica mai inerte.

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